La miniserie “Holocaust”

Holocaust, la miniserie televisiva del 1978 di Marvin J. Chomsky con Meryl Streep e James Woods, fu trasmessa negli Stati Uniti nell’aprile del 1978, mentre in Italia arrivò l’anno dopo, tra il 20 maggio e l’inizio di luglio del 1979, su Rai 1, in sei puntate. Sempre nel 1979 era andata in onda in Germania ovest (gennaio) e in Austria (marzo). Proprio in questi due paesi, la serie suscitò un dibattito ampio e articolato: a titolo di esempio si ricordano le riflessioni di Günther Anders, Nach «Holocaust» 1979, poi pubblicate nella nuova edizione di Besuch im Hades del 1985 (in italiano è stato tradotto in un volume autonomo: Dopo «Holocaust» 1979, Bollati Boringhieri 2014). 

Primo Levi era intervenuto sul film a puntate due mesi prima che andasse in onda in Italia, proprio a proposito dello scalpore suscitato in Germania, in un articolo sulla «La Stampa» (Chi vuole l’odio antisemita, 13 marzo 1979), in cui  dava conto del convegno promosso dalla Federazione Giovanile Ebraica d’Italia a Roma come risposta alle nuove ondate di negazionismo in Francia, e degli interventi che vi si erano succeduti:

Fig. 1: «La Stampa», 15 maggio 1979, p. 7.

«Nel pomeriggio si è svolta una tavola rotonda, cui hanno preso parte Lidia Rolfi, il professor Silvestri, il giovane giornalista Accardi e io. Sul fondo della comune indignazione sono emerse valutazioni abbastanza poco divergenti: per Silvestri, gli episodi sopra citati [le dichiarazioni dei negazionisti Faurisson e Darquier de Pellepoix] vanno letti entro un quadro ben piú vasto di negazione della storia e di rifiuto della realtà, per cui etichettarli come antisemitici sarebbe semplicistico. Lo stesso successo, in Germania, del filmato televisivo Holocaust sarebbe dovuto al fatto che esso ha ridotto la realtà a mito. Anche Accardi accentua questo pericoloso rifiuto delle testimonianze, specie se scritte: cosa avverrà, fra qualche decennio, quando i testimoni oculari non ci saranno più?» (OC II, 1144). 

Era poi tornato sull’argomento nel giorno della messa in onda italiana, sempre sulla «Stampa», Perché non ritornino gli olocausti di ieri (Le stragi naziste, le folle, la tv), 20 maggio 1979, e ancora, poco dopo, con un articolo più lungo e approfondito che era anche la Presentazione al volume Le immagini di «Olocausto». Dalla realtà alla Tv, curato da Pier Giorgio Martinelli, speciale del «Radiocorriere Tv», Eri, datato maggio 1979 (ma in realtà stampato il 3 giugno, come attestato dalla Bibliografia di Domenico Scarpa). 

Il 20 maggio Levi dichiarava di aver visto in anteprima alcune puntate: «Non mi è stato possibile vedere per intero il filmato Olocausto: non ne ho viste che alcune puntate, per di più prima del doppiaggio». La proiezione avvenne durante un evento sul film organizzato dal Goethe Institut di Torino il 15 maggio 1979 (come testimonia il trafiletto di quello stesso giorno su «La Stampa», Fig. 1), a cui parteciparono anche Cesare Cases e Giuliana Tedeschi, e a cui diede grande risalto il giorno dopo «Stampa Sera» (Fig. 2). In particolare, è proprio il giudizio di Giuliana Tedeschi ad essere riportato in uno dei due pezzi della pagina (Un’ebrea scampata: “Fumettone impreciso”, firmato da g.p.): 

«Per essere franchi, è un fumettone, spesso carente sul piano della precisione storica, e talvolta pericoloso per certe interpretazioni. Bisogna riconoscere, però, che per la prima volta questi problemi vengono portati al livello del grosso pubblico in tutto il mondo. Speriamo che serva, se non altro a far revocare la caduta in prescrizione dei crimini nazisti».

La conclusione dell’articolo restava comunque amara: 

«In Germania, però, dopo la proiezione di Holocaust, alla domanda di un’indagine se il nazismo fosse stata una buona idea applicata male, ha risposto di sì il 30 per cento». 

Fig. 2: «Stampa Sera», 16 maggio 1979, p. 18.

Nel suo lungo pezzo per Le immagini di «Olocausto», il giudizio complessivo di Levi sulla miniserie è simile a quello di Tedeschi, anche se più sfumato e articolato: 

«Ho poi cercato di assistere ad Olocausto con l’occhio dello spettatore neutro, non coinvolto ma neppure prevenuto, “difendendomi” per quanto mi era possibile dalle mie reazioni di ex deportato, e penso di esserci riuscito. Fatta dunque la tara alle mie emozioni personali, che ci sono state; filtrati via e cancellati i momenti di violenta mia identificazione con alcuni dei personaggi, posso dire che il filmato è decoroso e quasi per intero di buon livello, e soprattutto che non abusa del materiale incandescente su cui è stato costruito: gli autori hanno conosciuto la misura, e non hanno ceduto alle sollecitazioni del macabro, del turpe e dell’orrido, benché l’orrido, notoriamente, “paghi”. È visibile in loro la preoccupazione di non cadere nello stereotipo, e la ricerca di conferire individualità ai personaggi. È invece insufficiente, o inadeguato, lo spessore storico della vicenda, e qui il discorso si fa più complicato. Le radici del nazismo, dell’antisemitismo nazista, e del parallelo eppure diverso antisemitismo popolare dei russi e dei polacchi (a cui sovente il filmato accenna), sono lontane e complesse: non si possono comprendere senza risalire alla predicazione dei filosofi tedeschi dell’Ottocento, alla storia tormentata degli ebrei in Europa fin dalla distruzione del secondo tempio, alle dottrine teologiche diffuse da parte cattolica, ortodossa e riformata […]. Non intendo dire che tutto quanto precede sia sufficiente per capire l’hitlerismo, ma certamente è necessario, e il filmato non vi accenna: lo spettatore ne ricava l’impressione che il nazismo sia scaturito dal nulla, opera demoniaca di gelidi fanatici come Heydrich o di sinistri scherani con la svastica sulla manica, o frutto di una intrinseca ed imprecisata malvagità dei tedeschi».

Bibliografia

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