Che cos’è LeviNeT

Nel novembre 1986, a Torino, Primo Levi partecipa al convegno dell’Aned a palazzo Lascaris, una delle sue ultime apparizioni in pubblico. In quell’occasione fa distribuire in sala due stampati: uno è il capitolo “Lettere di tedeschi” da I sommersi e i salvati, uscito pochi mesi prima. Nel suo intervento , a proposito di questo «dialogo ininterrotto» con i suoi lettori e delle domande che gli rivolgono, scrive: «le più interessanti, sono il frutto di una mia intricata rete epistolare che per molti anni mi ha messo a confronto con i lettori tedeschi».

Il progetto

È la prima e unica volta che Levi definisce «rete epistolare» i suoi carteggi più che ventennali con i lettori della Germania, cominciati nel 1959 con lo scambio con il suo traduttore tedesco, Heinz Riedt, e ancora in corso nel novembre 1986 quando Levi si rivolge al pubblico di palazzo Lascaris. È una rete in molti sensi: perché ci sono giri di posta circolari, in cui una singola corrispondenza viene mandata in copia a più persone per sollecitare una discussione; perché un contatto ne crea molti altri a grappolo; perché copre, come un reticolato, aree della Germania, ovest ed est, lontane tra loro, estendendosi anche all’Austria e al Belgio; e infine perché vi si intrecciano quattro lingue, italiano, tedesco, inglese e francese, nel tentativo di comunicare sempre, il più possibile, a tutti i costi. 


Questa rete è l’oggetto di studio del progetto ERC Starting Grant  LeviNeT – Primo Levi’s Correspondence with German Readers and Intellectuals, che ha durata quinquennale ed è finanziato dal programma quadro Horizon Europe (qui si trovano i dettagli del finanziamento europeo). Su questo portale stiamo costruendo un’edizione digitale, completamente bilingue, delle lettere di Primo Levi con i suoi interlocutori tedeschi e germanofoni: sarà tutta online entro il 2027. Una corrispondenza che copre circa venticinque anni e due decenni cruciali per la biografia intellettuale di Primo Levi. 

I tedeschi

Perché i tedeschi? Già la dichiarazione di Levi basterebbe a giustificare la scelta; «le più interessanti», dice lui. L’interesse non è tanto e solo nel tipo di domande che questi lettori gli rivolgono, ma nel patto epistolare che si crea tra chi scrive e chi risponde: chi stava «dall’altra parte» decide di rivolgersi a una vittima del nazifascismo e dello sterminio razziale, che non solo risponde ma anzi decide con dedizione (e non senza fatica) di dialogare per comprendere, raccontare il proprio punto di vista, chiedere conto del punto di vista altrui. 

Certo, l’ex deportato è Primo Levi, non solo un testimone ma soprattutto uno scrittore e, sarebbe da aggiungere, anche un pensatore che, con I sommersi e i salvati, ha scritto uno dei libri centrali del secondo novecento europeo sui meccanismi di macro e micropotere in un sistema concentrazionario (un libro sui rapporti di forza, si potrebbe anche dire). Proprio quel libro, del resto, è anche il frutto del dialogo ventennale della “rete”; basta cominciare a leggerlo proprio dall’ultimo capitolo, “Lettere di tedeschi”, per rendersene conto. Ma sarà ancora più evidente leggendo tutte le lettere, che affrontano volta in volta i temi che attraversano gli otto capitoli dei Sommersi: come tenere viva la memoria di Auschwitz e come sta cambiando nella percezione delle giovani generazioni; come combattere il ritorno di fascismo in Europa; con quale lingua raccontare quell’esperienza; che cosa significava essere intellettuali e “pensare” dentro il campo; e ancora, quanto incide il sentimento di vergogna di essere vivi al posto di un altro, e come valutare certi “esemplari umani” che popolavano la fascia grigia che separa le vittime dai carnefici. 

Ma se non c’è dubbio che sia statura di Levi a tenere insieme il carteggio, vale anche il ragionamento inverso: LeviNeT è prima di tutto uno spaccato della storia culturale europea in due decenni centrali e differenti tra loro, gli anni sessanta e gli anni settanta; un dibattito peculiare sulla memoria dello sterminio e sul suo posto nella costruzione di un’Europa nuova (dopo la guerra) e già divisa (in due blocchi est-ovest). È peculiare perché invece che su giornali e riviste, alla radio o in tv, si è svolto per lettera, certo in forma privata eppure con uno slancio e una costanza che verrebbe da definire “pubblici” – di quelle lettere con tedeschi già nei primi anni sessanta Levi voleva farne un libro con Einaudi, ma il progetto non andò in porto. Una controprova è che le lettere intime, in questi scambi, sono quasi assenti. Il punto è che non esistono altri esempi simili di dialogo intenso, variegato e ramificato tra una persona che ha subìto la persecuzione e la deportazione e un numeroso gruppo di cittadini dello stato che della persecuzione e dello sterminio fu il mandante.

L’edizione online

Le lettere pubblicate provengono dall’archivio privato di Levi, aperto per l’occasione a questa specifica ricerca, e dai vari archivi europei dei corrispondenti, quando presenti. Gli interlocutori di Levi sono intellettuali ed ex deportati come gli austriaci Hermann Langbein e Jean Améry, ex compagni di prigionia come Emil Davidovic (il rabbino Mendi di Se questo è un uomo), scrittori come Albrecht Goes and Hans Jurgen Fröhlich, una lettrice appassionata, giornalista e politica, Hety Schmitt-Maass, e perfino un ufficiale della Wehrmacht, Ferdinand Meyer, impiegato al laboratorio di Buna-Monowitz (Auschwitz III) dove Levi prestò servizio coatto per qualche mese durante la sua permanenza nel campo. Di Meyer Levi non aveva detto una parola in Se questo è un uomo; anni dopo gli dedicherà il racconto Vanadio del Sistema periodico. Ci sono poi una quarantina di lettori e lettrici singoli, con cui Levi scambia una-due lettere (ma a volte molte di più): studentesse universitarie, professionisti, ammiratori perfino, quasi esclusivamente della Germania ovest. Se si escludono infatti due capitoli di Ist das ein Mensch? usciti sulla rivista “Sinn und Form” all’inizio del 1961, nella Germania orientale Se questo è un uomo non sarà mai pubblicato, nonostante i tentativi di mediazione di Joachim Meinert e Fred Wander (scrittore ed ex deportato, autore de Il settimo pozzo) ancora nei primi anni ottanta. Anche questi due carteggi si potranno trovare su LeviNeT

E infine, c’è il carteggio forse più bello e significativo: quello con Heinz Riedt, già partigiano a Padova con Otello Pighin, poi studioso e traduttore di Goldoni e Ruzante, ma anche di Gadda, Calvino, Fenoglio, Rodari, Pratolini, Pasolini. Un carteggio sulle lingue, sulle parole, sul tedesco del lager in Se questo è un uomo ma anche sul gergo inventato e paradossale di Storie naturali, a cui si intrecciano riflessioni sull’Europa e sulla comune appartenenza azionista, il racconto della fuga di Riedt da Berlino est, le difficoltà a vivere di solo lavoro intellettuale, i rapporti editoriali Italia-Germania; e, non ultima, la storia di un’amicizia. Il carteggio con Heinz Riedt fino al 1968 uscirà anche in versione cartacea per Einaudi.

I corrispondenti

CorrispondentiArchivio / LinguaNumero di lettere
1) Hermann LangbeinÖsterreichischen Staatsarchiv; Archivio Privato di Primo Levi (PLPA) / Tedesco e francese64  
2) Wolfgang BeutinPubblicato (Beutin 1999); PLPA / Francese2
3) Hans Jürgen FröhlichLiteraturarchiv, Marbach; PLPA / Tedesco e inglese9
4) Lettori e lettriciPLPA / Tedesco e inglese73
5) Albrecht GoesLiteraturarchiv, Marbach; PLPA / Francese4
6) Ferdinand MeyerStadtarchiv, Wiesbaden; PLPA / Italiano e tedesco6
7) Hety Schmitt-MaassStadtarchiv, Wiesbaden; PLPA / Tedesco e inglese110
8) Jean AméryPLPA / Tedesco e inglese2
9) Emil DavidovičPLPA / Tedesco e inglese20
10) Joachim MeinertWiener Library of London (fotocopie), pubblicato (Meinert 2000); PLPA / Inglese26
11) Heinz Riedt PLPA / Italiano200
Immagini dei corrispondenti:

Primo Levi – Archivio Fondazione CDEC, Milano; Wolfgang Beutin – Wikimedia Commons, https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Wolfgang_Beutin.jpg; Hans Jürgen Fröhlich – Wikimedia Commons, https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Hans-J%C3%BCrgen_Fr%C3%B6hlich.jpg; Albrecht Goes – Archivio Fischer Verlag, https://www.fischerverlage.de/autor/albrecht-goes-1000172; Jean Améry – Deutsches Literaturarchiv Marbach; Emil Davidovič – Jewish Museum Prague; Joachim Meinert – Berliner Zeitung, foto di Gerd Engelsmann; Heinz Riedt – foto di GianAngelo Pistoia. In riferimento alle fotografie di Albrecht Goes e di Joachim Meinert, rimaniamo a disposizione di altri eventuali aventi diritto laddove non sia stato possibile rintracciarli.

Torna in alto