069. Primo Levi a Hans Jürgen Fröhlich, 11 maggio 1962

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Nota al testo


Levi discute le preoccupazioni di Frӧhlich sul ritorno del fascismo in Europa e sulla mancanza di una terza via politica tra fascismo e comunismo. Allega il capitolo «Il Greco» del libro che sta scrivendo e che uscirà solo l’anno dopo, La tregua.

11 maggio 1962

 

Egregio Signor Frӧlich,

mi perdonerà se questa volta Le scrivo in italiano. Come avrà potuto constatare la sera del nostro troppo breve incontro, il mio tedesco è uno strumento troppo primitivo per esprimere qualcosa di più delle nozioni più elementari.

La ringrazio della Sua lettera del 27 aprile: pur non essendo una «Abhandlung», contiene un quadro preciso, coerente e completo della Germania di oggi. Un quadro che, almeno qualitativamente, coincide abbastanza bene con le mie impressioni di viaggiatore affrettato attraverso le capitali del Miracolo Economico. Neppure io sono ottimista come il Suo compagno di viaggio; eppure devo ammettere che il mio pessimismo è di qualche grado meno buio del Suo.

Lei dice di non vedere più la possibilità di una “terza via” fra la sinistra e la destra. Credo che occorre avere il coraggio di riconoscere che questa via c’è, ed è press’a poco quella che, con sfumature e accenti diversi, stanno seguendo i governi tedesco, italiano e francese. Non è la via che noi vorremmo: ma siamo lontani da Berlino 1938, e anche da Madrid 1962. L’aria che si respira oggi, da Voi e da noi, è pesante e non molto pulita, ma non contiene tensione: lo stato attuale, che non è[1] entusiasmante, sembra destinato a durare a lungo. 

D’altronde, è ben possibile che questo mio “non poter credere” a un ritorno del fascismo nella sua forma virulenta non sia che un riflesso della mia storia personale, e derivi da un rifiuto e da una paura profonda. 

Aspetto da Lei qualche parte tradotta del dramma di Jahnns, che proporrò a Einaudi;[2] Le allego intanto un capitolo del libro che sto scrivendo, il quale per ora non ha ancora trovato un titolo che mi soddisfi. Sarò molto lieto se Lei potrà farlo tradurre e pubblicare. 

Non manchi di preavvisarmi se ancora verrà a Torino; riceva intanto i più cordiali saluti, che vorrà estendere ai Suoi amici[3] che ho conosciuto con Lei. 

 

Primo Levi[4]

11 maggio 1962

 

Egregio Signor Frӧlich,

mi perdonerà se questa volta Le scrivo in italiano. Come avrà potuto constatare la sera del nostro troppo breve incontro, il mio tedesco è uno strumento troppo primitivo per esprimere qualcosa di più delle nozioni più elementari.

La ringrazio della Sua lettera del 27 aprile: pur non essendo una «Abhandlung», contiene un quadro preciso, coerente e completo della Germania di oggi. Un quadro che, almeno qualitativamente, coincide abbastanza bene con le mie impressioni di viaggiatore affrettato attraverso le capitali del Miracolo Economico. Neppure io sono ottimista come il Suo compagno di viaggio; eppure devo ammettere che il mio pessimismo è di qualche grado meno buio del Suo.

Lei dice di non vedere più la possibilità di una “terza via” fra la sinistra e la destra. Credo che occorre avere il coraggio di riconoscere che questa via c’è, ed è press’a poco quella che, con sfumature e accenti diversi, stanno seguendo i governi tedesco, italiano e francese. Non è la via che noi vorremmo: ma siamo lontani da Berlino 1938, e anche da Madrid 1962. L’aria che si respira oggi, da Voi e da noi, è pesante e non molto pulita, ma non contiene tensione: lo stato attuale, che non è[1] entusiasmante, sembra destinato a durare a lungo. 

D’altronde, è ben possibile che questo mio “non poter credere” a un ritorno del fascismo nella sua forma virulenta non sia che un riflesso della mia storia personale, e derivi da un rifiuto e da una paura profonda. 

Aspetto da Lei qualche parte tradotta del dramma di Jahnns, che proporrò a Einaudi;[2] Le allego intanto un capitolo del libro che sto scrivendo, il quale per ora non ha ancora trovato un titolo che mi soddisfi. Sarò molto lieto se Lei potrà farlo tradurre e pubblicare. 

Non manchi di preavvisarmi se ancora verrà a Torino; riceva intanto i più cordiali saluti, che vorrà estendere ai Suoi amici[3] che ho conosciuto con Lei. 

 

Primo Levi[4]

May 11, 1962

 

Esteemed Mr. Frӧlich,

Do forgive me for writing you in Italian this time. As you will have gathered from our all-too-short evening together, my German is too primitive an instrument for expressing anything beyond the most basic ideas.

Thank you for your letter of April 27: even though it is not a “treatise,” it contains a precise, coherent, and complete picture of present-day Germany. A picture that—qualitatively speaking, at least—coincides closely enough to the impressions I had while briefly visiting the capitals of the Economic Miracle. I am not as optimistic as your traveling companion, either; and yet I must admit that my pessimism is a few shades lighter than yours.

You say you no longer see the possibility of a “third way” between left and right. I believe it worth mustering up the courage to recognize that there is such a way, and it is more or less the one that, with different nuances and accents, the German, Italian, and French governments are currently following. It is not the way we would prefer, but we are far from 1938 Berlin, and also from 1962 Madrid. The air we breathe today, where you are and where I am, is heavy and not very clean, but it is not full of tension: the current state of things, which is not[1] very exciting, seems destined to last quite some time. 

Then again, it is entirely possible that my “inability to believe” that Fascism in its most virulent form will return is nothing more than a reflection of my own personal history, drawn from my own refusal and deep-seated fear. 

I will await your partial translation of Jahnn’s play, which I will then pitch to Einaudi;[2] in the meantime, I am enclosing a chapter of the book I am writing, which has not yet found a title that satisfies me. I would be very glad if you could get it translated and published. 

And do not forget to let me know if you will be visiting Turin again; for now, I send cordial greetings to you as well as the friends[3] to whom you introduced me. 

 

Primo Levi[4]

11 maggio 1962

 

Egregio Signor Frӧlich,

mi perdonerà se questa volta Le scrivo in italiano. Come avrà potuto constatare la sera del nostro troppo breve incontro, il mio tedesco è uno strumento troppo primitivo per esprimere qualcosa di più delle nozioni più elementari.

La ringrazio della Sua lettera del 27 aprile: pur non essendo una «Abhandlung», contiene un quadro preciso, coerente e completo della Germania di oggi. Un quadro che, almeno qualitativamente, coincide abbastanza bene con le mie impressioni di viaggiatore affrettato attraverso le capitali del Miracolo Economico. Neppure io sono ottimista come il Suo compagno di viaggio; eppure devo ammettere che il mio pessimismo è di qualche grado meno buio del Suo.

Lei dice di non vedere più la possibilità di una “terza via” fra la sinistra e la destra. Credo che occorre avere il coraggio di riconoscere che questa via c’è, ed è press’a poco quella che, con sfumature e accenti diversi, stanno seguendo i governi tedesco, italiano e francese. Non è la via che noi vorremmo: ma siamo lontani da Berlino 1938, e anche da Madrid 1962. L’aria che si respira oggi, da Voi e da noi, è pesante e non molto pulita, ma non contiene tensione: lo stato attuale, che non è[1] entusiasmante, sembra destinato a durare a lungo. 

D’altronde, è ben possibile che questo mio “non poter credere” a un ritorno del fascismo nella sua forma virulenta non sia che un riflesso della mia storia personale, e derivi da un rifiuto e da una paura profonda. 

Aspetto da Lei qualche parte tradotta del dramma di Jahnns, che proporrò a Einaudi;[2] Le allego intanto un capitolo del libro che sto scrivendo, il quale per ora non ha ancora trovato un titolo che mi soddisfi. Sarò molto lieto se Lei potrà farlo tradurre e pubblicare. 

Non manchi di preavvisarmi se ancora verrà a Torino; riceva intanto i più cordiali saluti, che vorrà estendere ai Suoi amici[3] che ho conosciuto con Lei. 

 

Primo Levi[4]

11 maggio 1962

 

Egregio Signor Frӧlich,

mi perdonerà se questa volta Le scrivo in italiano. Come avrà potuto constatare la sera del nostro troppo breve incontro, il mio tedesco è uno strumento troppo primitivo per esprimere qualcosa di più delle nozioni più elementari.

La ringrazio della Sua lettera del 27 aprile: pur non essendo una «Abhandlung», contiene un quadro preciso, coerente e completo della Germania di oggi. Un quadro che, almeno qualitativamente, coincide abbastanza bene con le mie impressioni di viaggiatore affrettato attraverso le capitali del Miracolo Economico. Neppure io sono ottimista come il Suo compagno di viaggio; eppure devo ammettere che il mio pessimismo è di qualche grado meno buio del Suo.

Lei dice di non vedere più la possibilità di una “terza via” fra la sinistra e la destra. Credo che occorre avere il coraggio di riconoscere che questa via c’è, ed è press’a poco quella che, con sfumature e accenti diversi, stanno seguendo i governi tedesco, italiano e francese. Non è la via che noi vorremmo: ma siamo lontani da Berlino 1938, e anche da Madrid 1962. L’aria che si respira oggi, da Voi e da noi, è pesante e non molto pulita, ma non contiene tensione: lo stato attuale, che non è[1] entusiasmante, sembra destinato a durare a lungo. 

D’altronde, è ben possibile che questo mio “non poter credere” a un ritorno del fascismo nella sua forma virulenta non sia che un riflesso della mia storia personale, e derivi da un rifiuto e da una paura profonda. 

Aspetto da Lei qualche parte tradotta del dramma di Jahnns, che proporrò a Einaudi;[2] Le allego intanto un capitolo del libro che sto scrivendo, il quale per ora non ha ancora trovato un titolo che mi soddisfi. Sarò molto lieto se Lei potrà farlo tradurre e pubblicare. 

Non manchi di preavvisarmi se ancora verrà a Torino; riceva intanto i più cordiali saluti, che vorrà estendere ai Suoi amici[3] che ho conosciuto con Lei. 

 

Primo Levi[4]

May 11, 1962

 

Esteemed Mr. Frӧlich,

Do forgive me for writing you in Italian this time. As you will have gathered from our all-too-short evening together, my German is too primitive an instrument for expressing anything beyond the most basic ideas.

Thank you for your letter of April 27: even though it is not a “treatise,” it contains a precise, coherent, and complete picture of present-day Germany. A picture that—qualitatively speaking, at least—coincides closely enough to the impressions I had while briefly visiting the capitals of the Economic Miracle. I am not as optimistic as your traveling companion, either; and yet I must admit that my pessimism is a few shades lighter than yours.

You say you no longer see the possibility of a “third way” between left and right. I believe it worth mustering up the courage to recognize that there is such a way, and it is more or less the one that, with different nuances and accents, the German, Italian, and French governments are currently following. It is not the way we would prefer, but we are far from 1938 Berlin, and also from 1962 Madrid. The air we breathe today, where you are and where I am, is heavy and not very clean, but it is not full of tension: the current state of things, which is not[1] very exciting, seems destined to last quite some time. 

Then again, it is entirely possible that my “inability to believe” that Fascism in its most virulent form will return is nothing more than a reflection of my own personal history, drawn from my own refusal and deep-seated fear. 

I will await your partial translation of Jahnn’s play, which I will then pitch to Einaudi;[2] in the meantime, I am enclosing a chapter of the book I am writing, which has not yet found a title that satisfies me. I would be very glad if you could get it translated and published. 

And do not forget to let me know if you will be visiting Turin again; for now, I send cordial greetings to you as well as the friends[3] to whom you introduced me. 

 

Primo Levi[4]


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