Hans Jürgen Fröhlich

Biografia


di Alice Gardoncini

Infanzia e formazione

Hans Jürgen Fröhlich nasce il 4 agosto 1932 ad Hannover da una famiglia di commercianti; ha tredici anni in meno rispetto a Levi e dunque appartiene alla generazione che ha vissuto la seconda guerra mondiale durante l’infanzia: nel settembre del 1939 aveva appena compiuto sette anni. Assiste ai bombardamenti del 1939-40 sulla propria città, come ricorda in alcune opere autobiografiche (Tandelkeller e Anhand meines Bruders) e poco dopo la famiglia si trasferisce nella cittadina di Duderstadt, sempre in Bassa Sassonia. Lì Fröhlich frequenta il ginnasio, iscrivendosi poi all’Accademia superiore di musica di Detmold, poco lontano, dove studia con Wolfgang Fortner, uno dei più noti compositori tedeschi della sua generazione il cui stile prende le mosse dal contrappunto bachiano e arriva infine ad accostarsi alla dodecafonia.

Fin da giovanissimo Fröhlich è affascinato dalla musica e dalla letteratura: dopo l’incontro con le opere di Franz Kafka decide di dedicarsi completamente alla scrittura (Hanuschek 2020, p.1). Soprattutto nei primi lavori è molto evidente l’influenza dello sperimentalismo musicale e compositivo sulle sue opere. Dopo gli studi inizia a lavorare come libraio in un negozio di antiquariato e come giornalista culturale per la radio e alcuni giornali.

Giornalista culturale ad Amburgo, esordi letterari

Negli anni Sessanta vive ad Amburgo e fa parte di un circolo politico guidato da Kurt Hiller e denominato Lega Neosocialista («Neusozialistischer Bund»), di cui è membro anche l’amico Wolfgang Beutin (1934-2023), il primo dei “lettori tedeschi” di Se questo è un uomo. È proprio Beutin a fornire a Fröhlich l’indirizzo di Primo Levi. In quel periodo entrambi collaborano con la radio tedesca NDR (Norddeutscher Rundfunk), occupandosi di radiodrammi e giornalismo culturale. Fröhlich ha aspirazioni artistico-letterarie e una formazione musicale, Beutin è uno storico con forti passioni politiche: il libro e la figura di Levi si trovano al centro di questo crocevia di interessi, e affascinano entrambi. All’uscita di Ist das ein Mensch? nel 1961, i due amici hanno rispettivamente 29 e 27 anni, ovvero l’età che aveva Levi quando scriveva Se questo è un uomo. Ormai però l’autore ne ha 42, e questo incontro è dunque anche l’incontro tra due generazioni. 

Il primo aprile del 1962 su NDR va in onda una lunga recensione radiofonica di Fröhlich al libro di Levi, per la rubrica «Ein Buch meiner Wahl» («Un libro di mia scelta»). Lì, oltre alla stima e all’interesse di Fröhlich per Levi, è già evidente la sua passione per la letteratura italiana, di cui si rivela anche un discreto conoscitore, in grado di cogliere e apprezzare i riferimenti alla Commedia dantesca. 

Già nel corso degli anni Sessanta Fröhlich viaggia molto, e spesso passa dall’Italia: in una di queste occasioni avverrà il primo incontro di persona con Levi, nella seconda metà dell’aprile 1962 a Torino (cfr. Lettere 65-67). Nel frattempo sta scrivendo alcune opere teatrali (i due drammi menzionati nella corrispondenza si intitolano Vier Wände e Samson, ma non saranno mai pubblicati, cfr. Lettera 70, del 30 luglio 1962) e il suo romanzo d’esordio, Aber egal!, che uscirà nel 1963 per la Wegner Verlag di Amburgo. Negli stessi anni Fröhlich lavora come redattore per Claassen, casa editrice di Amburgo, occupandosi, tra le altre cose, delle traduzioni di alcuni romanzi di Cesare Pavese.

La ricerca di una seconda patria, viaggi verso sud

Nella primavera del 1964 è ancora in viaggio in Italia, per circa un mese: passa a Torino tra il 5 e il 6 aprile, e incontra Levi per la seconda volta, poi prosegue per Firenze, dove vorrebbe stabilirsi, come si desume dalla richiesta a Levi di intercedere per lui con Kurt Wolff per un appartamento (cfr. Lettere 82 e 83). Il progetto non sembra andare in porto e Fröhlich continua a spostarsi, alla ricerca del luogo ideale per scrivere. Nell’agosto del 1966 si trasferisce a Vienna, dove rimarrà per circa un anno portando a compimento il romanzo autobiografico Tandelkeller

In concomitanza con il suo soggiorno viennese, Fröhlich avrà spesso rapporti con il mondo intellettuale e letterario austriaco: già nel luglio del 1965 invita Levi a partecipare a un ritrovo di giovani scrittori che si tiene due volte all’anno in un castello austriaco vicino al confine con la Ceco-Slovacchia (cfr. Lettera 84), e qualche anno dopo partecipa a una serie di giornate di studio e letture intorno al genere del radiodramma, organizzate da Jan Rys (autore austriaco e fondatore di un Centro internazionale del Radiodramma) a Unterrabnitz (Mahler-Tage 1971, p. 21). 

L’Italia e la scrittura

Nel 1969 l’Italia torna al centro della vita di Fröhlich. Dal carteggio con Levi si evince che i due quell’anno si incontrano una terza volta a Torino: da lì in poi Fröhlich vivrà principalmente in Italia, spostandosi tra varie città. Insieme alla moglie compra una casa nei pressi del lago di Garda, a Bogliaco, e dall’autunno del 1969, grazie a una borsa di studio dell’Accademia tedesca a Roma «Villa Massimo», si trasferisce nella capitale, dove vivrà per un anno. Nel 1971 nasce la prima figlia, Anna Katharina. Per la carriera di scrittore di Fröhlich si tratta di un periodo particolarmente prolifico; in una lettera del 22 febbraio 1976 (Lettera 089) dirà a Levi di aver scritto negli ultimi anni ben cinque libri grazie alla tranquillità della vita sul lago di Garda.

Nel corso degli anni Sessanta e nei primi Settanta il nome di Fröhlich circola anche nelle case editrici italiane. Grazie alle ricerche presso l’archivio della Fondazione Mondadori è stato possibile ricostruire che nel 1963 Mondadori aveva avuto in lettura Aber egal!  (sono conservati i pareri di lettura di Lavinia Mazzucchetti, Elio Vittorini e Emilio Picco) e l’aveva comprato per la collana «Medusa», facendolo tradurre da Italo Alighiero Chiusano. Tuttavia, dopo essere stato più volte posticipato, il progetto fu infine annullato nel luglio del 1967, su iniziativa di Giorgio Zampa, di recente entrato in casa editrice (si vedano i materiali conservati in SEE-AB, b. 30, fasc. 68, Frohlich Hans Jurgen).

Inoltre, dal fondo dell’Agenzia Letteraria Internazionale conservato anch’esso presso la Fondazione Mondadori risulta che Fröhlich era entrato in contatto con Erich Linder nel 1969 e tramite l’agenzia alcuni altri suoi romanzi erano stati proposti in lettura a editori italiani (in particolare Tandelkeller nel 1969 e Engels Kopf, nel 1973), ma scartati perché troppo sperimentali e di difficile leggibilità in traduzione (SEE-Gdl, fasc. Frohlich Hans Jurgen).

Anche dopo la separazione dalla prima moglie, Fröhlich continua ad avere un rapporto privilegiato con l’Italia vivendo tra Monaco e la Toscana, dove trascorre generalmente i mesi estivi, in una casa di campagna nei pressi di Semproniano in provincia di Grosseto. Negli anni seguenti ha altri due figli da un secondo matrimonio, Johannes e Benjamin. 

Il 22 novembre 1986, all’età di 54 anni, muore in seguito a un attacco di cuore mentre si trova ospite del Centro culturale della Bassa Sassonia «Künstlerhof Schreyan» con una borsa di studio.

Riferimenti e bibliografia

Le schede di lettura relative ai romanzi di Hans Jürgen Fröhlich sono conservate presso la Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Archivio storico Arnoldo Mondadori Editore, nei fondi: Segreteria editoriale estero-AB, b. 30, fasc. 68 (Frohlich Hans Jurgen) e Segreteria editoriale estero-Giudizi di lettura, fasc. Frohlich Hans Jurgen. Per la corrispondenza con Erich Linder si veda sempre la Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Fondo agenzia letteraria internazionale (ALI) - Erich Linder, Serie annuale 1969, b. 50, fasc.  29 (Frohlich Hans Jurgen).

Bibliografia.

DOI:

Carteggi


Ist das ein Mensch? alla radio tedesca

Hans Jürgen Fröhlich si presenta a Levi come l’autore di una recensione radiofonica a Ist das ein Mensch?, a detta dello stesso Levi la più «amichevole ed esaustiva» che il suo libro abbia ricevuto fino a quel momento in Germania (Lettera 067, del 16 marzo 1962). La recensione va in onda il primo di aprile del 1962 sull’emittente tedesca NDR (Norddeutscher Rundfunk), con sede ad Amburgo, per la rubrica Das Buch meiner Wahl (Il libro che ho scelto).

Il testo viene inviato a Levi il 12 marzo 1962, nella forma di tredici fogli di carta velina che recano impressa la copia carbone del dattiloscritto: probabilmente si tratta di una bozza della recensione che andrà in onda in radio poche settimane dopo. Nella recensione si alternano le voci di due presentatori radiofonici, una che riporta ampie citazioni dal testo di Levi, cominciando dalla poesia posta in epigrafe all’opera, e l’altra, di Fröhlich stesso, che commenta, introduce e cuce insieme le citazioni.

Fröhlich considera quello di Levi tra i migliori libri usciti fino a quel momento sui campi di concentramento, e loda la casa editrice per aver scelto di pubblicarlo direttamente in tascabile, rendendolo così accessibile a un ampio pubblico anche di giovani. La recensione vuole dare agli ascoltatori un quadro generale dei contenuti del libro, soffermandosi in particolare sulla sua originalità nel panorama della letteratura concentrazionaria. Secondo Fröhlich, il libro  non parte da

«una concezione filosofica generale, né politica, né religiosa: È l’opera di un umanista intellettuale, sciolto da vincoli dogmatici, che intende portare luce nell’oscuro e irrazionale intrico degli errori e delle crudeltà umane col solo aiuto della sua sana comprensione dell’umanità» (questa e le seguenti citazioni provengono dalla Lettera 066, nella trad. di Primo Levi).

L’attenzione di Fröhlich si concentra in particolar modo sull’opera come esame psicologico dell’uomo «ridotto alla sua condizione primordiale, letteralmente nudo, affamato, esposto al gelo, privo di ogni diritto». Secondo Fröhlich il Lager ha la funzione di «estremo modello di dimostrazione»: a Levi non interessa tanto «stendere un elenco di crudeltà e tormenti», quanto comprendere la natura umana a partire da questo campo di osservazione estremo.

Il caso di questa recensione è interessante soprattutto per l’uso che ne fa Levi. Intanto il documento è presente nel suo archivio privato in due copie: quella inviata da Fröhlich e allegata al carteggio, e una seconda versione, definitiva, inviata forse dalla radio tedesca in un momento successivo. Questa seconda copia presenta alcune sottolineature manoscritte e un appunto manoscritto di Levi (che a fianco della parola «Aufschub» annota un punto interrogativo e a seguire la traduzione del termine, «dilazione»).

Ma l’attenzione particolare di Levi per la recensione è confermata anche dal semplice fatto che la traduce quasi completamente, e i fogli manoscritti della traduzione sono conservati nel suo archivio insieme al carteggio. Senz’altro si tratta in prima istanza di una traduzione “di lettura”, ovvero volta a comprendere appieno il testo che Levi si trova davanti in una lingua non immediatamente comprensibile. Ma essa è anche testimonianza del grande interesse di Levi per tutto ciò che in Germania si muoveva intorno al suo libro, interesse che negli stessi anni prenderà la forma concreta di un progetto editoriale ben definito, come ormai è stato dimostrato dalla critica (cfr. Mayda 1963, p. 5, Mengoni 2023, pp. 57 e sg).

I primi anni Sessanta: «il mio pessimismo è di qualche grado meno buio del Suo»

 

Già nella prima lettera, con la quale invia la recensione, Fröhlich annuncia che sta per partire per un viaggio e passerà anche da Torino. Sull’onda dell’entusiasmo propone subito a Levi un incontro, che avviene probabilmente tra il 12 e il 20 aprile del 1962. I due, in presenza anche di un conoscente di Fröhlich e di un interprete (ma potrebbe anche trattarsi della medesima persona), parlano dello stato di salute della società e della democrazia tedesca, della persistenza dell’antisemitismo e del fascismo, e della riluttanza da parte dei tedeschi ad affrontare certi temi legati al passato nazista; la discussione prosegue anche per lettera nei mesi successivi. Fröhlich ha una visione pessimistica del panorama politico contemporaneo, mentre Levi appare più moderato, l’11 maggio del 1962 (Lettera 069) scrive:

Neppure io sono ottimista come il Suo compagno di viaggio; eppure devo ammettere che il mio pessimismo è di qualche grado meno buio del Suo. / Lei dice di non vedere più la possibilità di una “terza via” fra la sinistra e la destra. Credo che occorre avere il coraggio di riconoscere che questa via c’è, ed è press’a poco quella che, con sfumature e accenti diversi, stanno seguendo i governi tedesco, italiano e francese. Non è la via che noi vorremmo: ma siamo lontani da Berlino 1938, e anche da Madrid 1962. L’aria che si respira oggi, da Voi e da noi, è pesante e non molto pulita, ma non contiene tensione: lo stato attuale, che non è entusiasmante, sembra destinato a durare a lungo.

 

Questo cauto ottimismo cambierà sensibilmente nel corso degli anni Settanta.

I due però parlano anche di letteratura, raccontandosi a vicenda i progetti futuri. Nel corso del tempo la corrispondenza assume sempre più il carattere dello scambio tra scrittori: Levi invia un capitolo del nuovo libro a cui sta lavorando («Il Greco», La Tregua), e Fröhlich, dopo essersi impegnato a farlo leggere in radio o almeno pubblicarlo in rivista (su «konkret»), risponde con il manoscritto di un suo dramma intitolato Vier Wände. Viene citato anche un dramma di Hans Henny Jahnn (1894-1959), alla cui traduzione Fröhlich sta lavorando. Si tratta di un altro scrittore di Amburgo legato al movimento di Kurt Hiller (con cui aveva collaborato alla rivista «Zwischen den Kriegen»), e morto di recente. Tuttavia non risulta che il manoscritto di Jahnn sia mai stato inviato a Torino (né in originale né in traduzione), e i pareri di lettura di Cases, peraltro negativi, redatti per Einaudi non sono legati alla mediazione di Levi (Cases 2013, pp. 215-16 e 425-26).

Più volte nel corso del carteggio Fröhlich afferma di voler tradurre brevi testi dall’italiano al tedesco o dal tedesco all’italiano, come nel caso del dramma di Jahnn, oppure del capitolo «Il Greco» della Tregua (Lettera 071). Non risulta poi che queste traduzioni vengano effettivamente portate a termine, ma il dato interessante è senz’altro l’entusiasmo di Fröhlich per la lingua, la letteratura italiana e l’Italia in generale.

Al rientro dalle vacanze estive, nel settembre del 1962, Levi legge il manoscritto di Vier Wände, trovandolo «ben costruito, persuasivo»; ancora una volta il suo interesse è in ciò che può trarre, da questo testo, sulla società tedesca: «principalmente, mi sembra riproduca bene una certa atmosfera ibseniana che pervadeva la Germania dell’“anno zero”, e forse ancora quella di oggi» (Lettera 72, del 4 settembre 1962). Il dramma si svolge in due atti letteralmente tra le quattro mura di casa Bosco, e vede protagonisti la vedova e i tre figli del defunto Leonard Bosco, scrittore di successo. A un anno dalla morte del padre, la parte femminile della famiglia mette in scena l’ultima cena a cui il padre aveva preso parte, scatenando le ire di Gregor, l’unico figlio maschio. Egli, che da un lato segue le orme del padre, cercando la via del successo letterario, dall’altro ha chiaramente un conto in sospeso con lui, e dopo una serie di violente invettive contro le sorelle e la madre finisce per commettere un simbolico parricidio in differita, sacrificando il cane un tempo tanto amato dal genitore.

In questo dramma di ambientazione borghese sono evidenti le ferite di un difficile rapporto con il passato e con la generazione precedente, ed è forse lecito rintracciare lì il motivo dell’interesse di Levi. L’autore decide infatti di sottoporre il manoscritto a Einaudi, ma senza successo (il rifiuto formale arriva a Levi solo nel giugno del 1964, cfr. Archivio storico Giulio Einaudi editore, in deposito presso l’Archivio di Stato di Torino, sezione Corrispondenza con autori e collaboratori italiani, fasc. 114, inc. 1711/1, Levi Primo).

Altri incontri torinesi e epilogo

 

La corrispondenza prosegue per tutto il 1964, con un continuo scambio di notizie. Dal febbraio di quell’anno Levi scrive in inglese e Fröhlich risponde in tedesco. In primavera avviene il loro secondo incontro torinese (Lettera 082 dell’aprile 1964), caratterizzato da discussioni che vertono più sulla letteratura e sui rispettivi lavori in corso, che non sulla situazione storico-politica. Nei mesi e negli anni successivi gli scambi tra i due si diradano.

Ci sono ancora un paio di lettere più lunghe e significative nell’aprile del 1967. Fröhlich torna a scrivere a Levi perché sta lavorando al progetto di un romanzo ambientato a Torino che dovrebbe partire dalla vicenda biografica di Pavese e avere sullo sfondo alcuni elementi storici: da un lato il periodo torinese di Nietzsche, dall’altra l’episodio della Resistenza italiana nel quale otto partigiani furono fucilati il 5 aprile 1944 al poligono di tiro del Martinetto in corso Svizzera. Fröhlich conosceva l’episodio perché durante il suo precedente soggiorno torinese (5 e 6 aprile 1964) aveva letto sul giornale un articolo commemorativo in occasione del 20° anniversario. Fröhlich racconta a Levi di questo suo progetto e dell’intenzione di tornare in città per svolgere ulteriori ricerche sul campo (Lettera 85; il libro tuttavia non vedrà mai la luce, almeno in quella veste; molti spunti e materiali raccolti in quell’occasione confluiranno in Engels Kopf, il romanzo sperimentale pubblicato nel 1971).

Levi risponde raccontando a sua volta i  progetti in corso: in quelle settimane sta lavorando alacremente alla stesura del cosiddetto «Trattamento» della Tregua, per un film che avrebbe dovuto essere diretto da Monicelli, ma che non sarà mai girato.

Il terzo e ultimo incontro tra i due avviene nel 1969, sempre a Torino; segue poi una pausa di sette anni nella loro corrispondenza, ma gli ultimi scambi sono solo episodici. Nel febbraio del 1976 Fröhlich si rifà vivo perché vorrebbe proporre il Sistema periodico alla Fischer Verlag. Tra le altre cose gli parla per l’appunto del proprio romanzo risalente al 1971, Engels Kopf, rivelando che lo stesso Levi compare citato in quelle pagine. Levi si dice molto incuriosito dal fatto «di essere io diventato un personaggio del Suo romanzo» (Lettera 090 del 2 marzo 1976), tanto che ne ordina subito una copia. Non si hanno notizie dell’impressione che il romanzo fece su Levi, e non è nemmeno certo che arrivò effettivamente tra le sue mani. Due anni dopo, nel 1978, Levi medesimo “si farà” personaggio del suo proprio romanzo, La chiave a stella.

Tuttavia, è forse sintomatico che le apparizioni dell’amico torinese in Engels Kopf siano di fatto evocazioni di una presenza-assenza: il protagonista del romanzo, il giovane Friedrich Peschek, vive a Torino e cerca invano di portare a termine una guida turistica descrittiva della città. Lì ha un conoscente, un amico: il “Lieber Doktor Levi”. Vorrebbe più e più volte scrivergli delle lettere, immagina le frasi che userebbe, si appunta mentalmente l’impegno. I vari tentativi di scrittura epistolare, spesso abortiti, riflettono un uso che traspare anche dal carteggio reale con Levi: nell’archivio di Fröhlich (conservato al Deutsches Literatur Archiv di Marbach) sono rimaste copie carbone su carta velina di diverse stesure della stessa lettera, e non sempre è stato possibile stabilire con certezza se una di esse (e quale) fosse stata effettivamente inviata (si vedano le Lettere 65 e 66, la Lettera 75 e le Lettere 82 e 83).

Nella trasfigurazione romanzesca Fröhlich gioca con questo aspetto del proprio carattere, attribuendo con una certa ironia al protagonista una serie di tentativi di scrittura falliti, oppure incompleti, poiché alla fine non solo la guida turistica, ma anche le lettere al Doktor Levi restano in gran parte ungeschrieben, non scritte (Fröhlich 1971, pp. 40, 144, 160, 289). A confermare la poetica dell’inconcluso (Fritz 2000, p. 3), non è un caso che il romanzo si apra proprio con un capitolo intitolato in modo programmatico «Anfänge, lauter Anfänge» («Incipit, solo incipit») e si concluda con una strategia dichiaratamente sperimentale, in cui lo spazio della narrazione e della Storia vengono di fatto relegate ai margini della pagina scritta: sul finale del romanzo, la rielaborazione della vicenda storica del Martinetto è infatti affidata alle note a piè di pagina (Fröhlich 1971, pp. 289-340).

 

 

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