Hermann Langbein

Biografia


di Alice Gardoncini

Un uomo formidabile

Hermann Langbein prima del 1938, foto di proprietà di Kurt Langbein.

«L’autore, H. Langbein, è un uomo formidabile, ex-comunista, ex-legionario in Spagna, poi internato in Francia, deportato a Dachau e poi ad Auschwitz, membro attivissimo della Resistenza entro il Lager ed insieme ‘uomo di fiducia’ di un medico SS». Con queste parole Primo Levi presentava Hermann Langbein alla casa editrice Mursia, il 6 ottobre del 1973, proponendo per la traduzione italiana il monumentale Menschen in Auschwitz (Langbein 1972), oggi un classico della storiografia sui campi di sterminio.

E forse non è un caso che Levi avesse scelto proprio l’aggettivo “formidabile” per definire Langbein. Formidabile, dal lat. Formidare, ovvero temere, significa temibile, e in effetti Langbein è stato per tutta la vita uno dei più temibili, coerenti e tenaci avversari del fascismo in ogni sua forma, a partire dall’attività politica clandestina nella Vienna degli anni trenta, passando per il coinvolgimento nella guerra di Spagna, per arrivare alla resistenza in Lager e infine, nel dopoguerra, al capillare lavoro di ricerca dei criminali nazisti, di preparazione dei processi contro di loro e di raccolta delle testimonianze.

La giovinezza a Vienna: comunista o attore?

Hermann Langbein nasce il 18 maggio 1912 a Vienna, in una famiglia della piccola borghesia: il padre, ebreo convertito alla fede evangelica, lavora come contabile in una fabbrica di tessuti, la madre è maestra. Il fratello Otto, maggiore di un anno e mezzo, ha un ruolo decisivo per la sua formazione e le sue future scelte politiche. Quando la madre muore di cancro (Hermann ha solo dodici anni), ad aiutare la famiglia è la sorella di lei, “Tante Else”, con la quale i due fratelli condividono una visione politica, che va sempre più discostandosi da quella del padre, sostenitore di un nazionalismo di ispirazione bismarckiana. Molto presto, fin dall’inizio degli anni ’30, i due fratelli si avvicinano alle posizioni del Partito Comunista, a cui si iscrivono: Otto nel 1932 e Hermann all’inizio del 1933, pochi mesi prima che il partito venga dichiarato illegale.

Hermann Langbein attore al Volkstheater, foto di proprietà di Kurt Langbein.

Accanto alla passione politica, compare presto quella artistica. Infatti, subito dopo la maturità, Hermann decide di intraprendere la carriera dell’attore, ancora una volta in opposizione al padre, che l’avrebbe voluto medico: nell’autunno del 1931 diventa allievo attore al Volkstheater di Vienna, con il nome d’arte di Hermann Lang, e inizia a frequentare alcuni gruppi di cabaret (tra cui lo Stachelbeere). È un periodo di grande entusiasmo e leggerezza, di cui resta ampia documentazione: Langbein è infatti fin da molto giovane un catalogatore, ama annotare le proprie attività e letture con una precisione e esaustività sorprendenti, per cui nel suo lascito conservato all’Archivio di Stato viennese si trovano, tra migliaia di documenti, anche i quaderni in cui censiva e commentava i libri letti, o gli elenchi dettagliati di tutte le sue apparizioni in teatro (Halbmayr 2012, 21-25).

Posto di fronte alla difficile scelta tra diventare un comunista e diventare attore (Stengel 2012, 31), il giovane prova inizialmente a conciliare le due strade, e dopo la morte del padre (nel 1934) va a vivere insieme al fratello in un appartamento condiviso che diventa la sede di una serie di attività clandestine, tra cui la produzione del giornale ciclostilato «Klassenkampf» [Lotta di classe]. Presto, però l’appartamento finisce nel radar della polizia e iniziano anche gli arresti (il primo, preventivo, è del febbraio del ’35, a cui ne seguono altri nei due anni successivi), che lo costringono infine ad abbandonare la carriera teatrale.

Pasaremos. Le Brigate Internazionali e i campi di internamento francesi

Disegno di Langbein durante la guerra di spagna, estratto da Halbmayr 2012.

In seguito all’annessione dell’Austria nel 1938, Langbein, ormai noto alle autorità come oppositore politico, è costretto a lasciare Vienna. Il 22 marzo del ’38, parte con la compagna Margarete (Gretl) Wetzelsberger, comunista come lui; i due passano il confine illegalmente fuggendo prima in Svizzera e poi a Parigi, dove erano stati preceduti dal fratello Otto. Gretl si ferma a Parigi con Otto, che nel frattempo si è ammalato ai polmoni, mentre Hermann parte per la Spagna il 9 aprile. Insieme a un gruppo di altri austriaci di cui fa parte anche il cugino Leopold Spira raggiunge le Brigate Internazionali a Figueres, in Catalogna. Gli otto mesi che passerà insieme ai combattenti volontari sono descritti in diretta nelle lunghe lettere indirizzate a Gretl e Otto, e che più tardi saranno raccolte in volume (Langbein 1982). Il momento più intenso è nel giugno del 1938, quando prende parte alla battaglia dell’Ebro. In questi mesi, tra le altre cose, redige il bollettino di informazione della XI brigata, di cui fa parte (Halbmayr 2012, 44).

Nel febbraio del 1939, in seguito alla sconfitta dei repubblicani e alla smobilitazione delle Brigate Internazionali, i volontari reduci vengono internati in diversi campi di prigionia francesi: Langbein, insieme a quasi tutti gli austriaci presenti, finisce prima a Saint-Cyprien, uno dei famigerati Camps de la plage (febbraio-aprile 1939), poi a Gurs (aprile 1939-aprile 1940) e infine a Le Vernet (aprile 1940-aprile 1941). Sono le prime, dure, esperienze di internamento: nonostante la fame, il freddo e le violenze subite, a Gurs Langbein e i suoi compagni organizzano una sorta di università popolare (la «Österreichische Volkshochschule Gurs»), da lui stesso diretta e per la quale tiene il corso di tedesco. I prigionieri possono ricevere visite, e nell’ottobre del 1940 a Le Vernet Langbein riesce a salutare il fratello Otto, con cui si ricongiungerà solo nel dopoguerra.

Dachau, Auschwitz, Neuengamme

Dopo l’occupazione della Francia, i prigionieri passano sotto la giurisdizione della Gestapo. Insieme ad altri 145 austriaci, Langbein da Le Vernet è inviato a Dachau, dove viene internato come prigioniero politico, in quanto Rotspanier, combattente “rosso” nella guerra civile spagnola. Qui, visto che sa stenografare e scrivere a macchina, e conosce il latino, diventa segretario personale del medico Rudolf Brachtel, e entra in contatto anche con un altro medico, Edward Wirths.

Foto segnaletica di Hermann Langbein, foto di proprietà di Kurt Langbein.

Insieme ad altri sedici prigionieri di Dachau, il 19 agosto del 1942 Langbein viene mandato ad Auschwitz, dove è in corso un’epidemia di tifo: è segnato erroneamente come infermiere, ma il suo nome finisce nella lista forse a causa della rivalità tra i prigionieri socialdemocratici e comunisti all’interno di Dachau (Halbmayr 2012, 70). Quando Edward Wirths arriva a sua volta ad Auschwitz, riconosce Langbein e lo sceglie come suo segretario. In questo modo Langbein acquisisce una posizione privilegiata, che gli permette di osservare e capire nel profondo le dinamiche del campo: ha accesso a informazioni confidenziali tra cui le statistiche sui detenuti uccisi, ed è testimone diretto dei trasporti dei cadaveri a opera del Sonderkommando e delle uccisioni nelle camere a gas; l’ufficio dove lavora è collocato proprio di fronte all’Altes Krematorium, il forno crematorio (Langbein 1949, 114). Insieme a prigionieri di varie nazionalità organizza il Kampfgruppe Auschwitz (Langbein 1962 227-38), un movimento di resistenza (di cui fanno parte anche i polacchi Józef Cyrankiewicz e Tadeusz Hołuj); suo compito è guadagnarsi la fiducia di Wirths e influenzarlo per ottenere un miglioramento delle condizioni dei detenuti.

Langbein resta ad Auschwitz fino all’agosto del 1944, quando viene spostato nel campo di concentramento di Neuengamme, a sud-est di Amburgo. Scampa alle marce della morte e l’11 aprile del 1945, durante un trasporto di prigionieri, riesce a fuggire. Il 18 maggio 1945, dopo quasi sei anni e mezzo totali passati nei campi di internamento, fa ritorno a Vienna.

Il dopoguerra a Vienna (1945-1958)

L’Austria, come la Germania, è divisa nelle zone di occupazione delle quattro potenze vincitrici, tra cui l’Unione Sovietica. Langbein torna a Vienna carico di aspettative, e i primi anni sono nel segno dell’euforia e dell’adesione al Partito Comunista austriaco (KPÖ): è funzionario e membro del Comitato Centrale del KPÖ e assume la direzione delle scuole di partito. Già alla fine degli anni quaranta però, qualcosa si incrina; Langbein è amareggiato dallo scarso interesse che percepisce nei confronti dei resoconti dell’esperienza di Lager (Pelinka 1993, 37). Nel 1949 pubblica Die Stärkeren. Ein Bericht (Langbein 1949), ma quattro anni prima, tra il 22 e il 23 aprile 1945 ad Hannover, aveva scritto su Auschwitz un resoconto “a caldo” di nemmeno trenta pagine, come testimonianza per le autorità britanniche (Langbein 1945). Per misura e funzione, si tratta di un testo paragonabile a quello scritto da Leonardo De Benedetti e Primo Levi a Katowice per il governo sovietico, e oggi noto come Rapporto medico-sanitario (OC I,1177-94).

In seguito alle sue critiche al futuro segretario generale del KPÖ, Friedl Fürnberg, dal 1951 Langbein è estromesso dal Comitato Centrale. Nel 1953 viene incaricato dal partito di creare e seguire una stazione radio in lingua tedesca a Budapest e si trasferisce là con la moglie (Aloisia Turko), giornalista e comunista a sua volta. I due si erano sposati nel 1950 e nel 1952 avevano avuto una prima figlia, Lisa; al momento del trasferimento Turko era incinta del secondo figlio, Kurt. Langbein percepisce quell’incarico come una punizione, e durante l’anno trascorso in Ungheria matura un atteggiamento sempre più critico nei confronti dell’Unione Sovietica. Rientrato a Vienna, lavora come redattore presso la «Österreichische Zeitung» (1954), il giornale di partito, e poi come caporedattore presso il «Neuen Mahnruf» (1956).

Nel maggio del 1954 la Féderation Internationale des Résistants (FIR) fonda a Vienna il Comitato Internazionale di Auschwitz (IAK), e Langbein è nominato segretario generale. Questo gli permette di entrare in contatto con moltissimi reduci di Auschwitz di varie nazionalità, come testimoniato dalla mole dei documenti presenti nel suo archivio. Tra gli italiani, avrà un ruolo fondamentale Leonardo De Benedetti, conosciuto nel 1955. Per il suo tramite Langbein riceve una lista di altri italiani con cui mettersi in contatto, tra cui anche Primo Levi.

Negli anni seguenti crescono gli attriti con il Partito Comunista austriaco: al contrario della moglie e del fratello, Langbein resta iscritto anche dopo i fatti di Ungheria, ma viene poi espulso nel 1958 quando a nome del Comitato Internazionale di Auschwitz protesta contro l’esecuzione di Imre Nagy, Paul Maleter e di altre tre vittime della giustizia sovietica (Halbmayr 2012, 144).

Dallo IAK al CIC (1958-1961)

Al crescere delle tensioni in Europa legate alla guerra fredda, corrisponde anche un inasprimento dei rapporti tra Langbein e lo IAK: nel 1958 viene demansionato, e da segretario generale diventa il responsabile dei processi e dei risarcimenti ai sopravvissuti e ai famigliari delle vittime. Nonostante il Comitato si dichiarasse per statuto apartitico, nel luglio del 1959 i membri polacchi, guidati da Tadeusz Hołuj, decidono di istituire una seconda sede direttiva a Varsavia, marcando di fatto una svolta filosovietica.

Ha inizio una fase complicata per Langbein: mentre, insieme a H.G. Adler e Simon Wiesenthal cerca finanziamenti per istituire un nuovo comitato – questa volta neutrale –, nell’ottobre del ’60 su sua iniziativa lo IAK firma un contratto con la Europäische Verlaganstalt (EVA) per un’antologia di resoconti e testimonianze su Auschwitz. In Germania, e in lingua tedesca, è il primo progetto editoriale di questo genere, e l’uscita dovrebbe coincidere con il grande processo Auschwitz che si sta preparando a Francoforte. I curatori saranno Hermann Langbein, H.G. Adler e Ella Lingens-Reiner, la presidentessa dell’Österreichische Lagergemeinschaft Auschwitz (ÖLGA).

A partire dal dicembre ’60 i rapporti con lo IAK si deteriorano ulteriormente, e nonostante ancora nel maggio dell’anno seguente Langbein trascorra quasi un mese a Gerusalemme in qualità di inviato del Comitato per assistere al processo Eichmann, dal luglio del 1961 viene infine sollevato da ogni incarico all’interno dello IAK.

Contemporaneamente, il progetto dell’antologia rischia di fallire: l’ala di Varsavia, nella persona di Stefan Haupe, delegato per l’amministrazione e le finanze, contatta la casa editrice per esautorare i curatori; per tutta risposta la casa editrice annulla il contratto in essere con lo IAK e ne fa firmare uno nuovo direttamente a loro. A quel punto il Comitato fa pressione sugli autori orientali perché ritirino i loro contributi e cerca di screditare i curatori sostenendo che vogliono lucrare sull’iniziativa (Stengel 2012, 280-342). Nonostante tutto, l’antologia nel 1962 viene infine pubblicata, con il titolo Auschwitz. Zeugnisse und Berichte. Vi compaiono anche due capitoli di Se questo è un uomo di Primo Levi («L’ultimo» e «Storia di dieci giorni»), nella traduzione di Heinz Riedt, uscita nel novembre 1961 in Germania Ovest. Per evitare le polemiche, gli autori dell’antologia rinunciano ai compensi e tutti i proventi vengono destinati agli ex deportati in difficoltà.

In questo momento, per Langbein è vitale avere una carica in un comitato internazionale, sia per motivi economici sia per poter prendere parte ai processi in veste ufficiale. Dal 1961 è diventato segretario dell’ÖLGA, che non è di livello internazionale e soprattutto non ha le forze per assicurargli uno stipendio. Finalmente, il 20 gennaio 1963 viene fondato il CIC (Comité International des Camps) di cui è nominato segretario. L’indirizzo (come già era stato nel caso dello IAK) è quello di casa sua a Vienna, il finanziamento arriva dallo UIRD, la controparte filooccidentale del FIR (Halbmayr 2012, 312).

Nel corso degli anni sessanta Langbein collabora attivamente alle ricerche di Simon Wiesenthal, Thomas Harlan e Fritz Bauer che porteranno all’arresto di criminali nazisti ancora a piede libero (cfr. approfondimento), e pubblica una serie di opere di documentazione sul processo di Francoforte (1963-65) (Langbein 1963, 1964, 1965).All’inizio degli anni settanta Langbein sarà anche impegnato a preparare e seguire i processi Auschwitz austriaci, che dopo un’attesa decennale si terranno infine a Vienna nel 1972, e si concluderanno con un deludente verdetto di assoluzione per i quattro imputati Dejaco e Ertl (a marzo) e Graf e Wunsch (a giugno) (Loitfellner 2006, cfr. approfondimento).

Menschen in Auschwitz

Quando, nei primi anni sessanta, l’autore si trova in difficoltà dopo l’espulsione dal Partito Comunista, ad aiutarlo sono conoscenti e amici di varia provenienza: è Christian Broda, all’epoca Ministro della giustizia austriaco (dell’SPÖ) a metterlo in contatto con la Europa Verlag, con cui Langbein pubblicherà vari lavori, dalla documentazione dei processi (la prima nel 1963) fino ad arrivare a Menschen in Auschwitz (nel 1972). Ed è Hety Schmitt-Maas, negli anni sessanta ufficio stampa del Ministero della cultura dell’Assia, ad attivare una serie di contatti e dare vita a una vera e propria rete epistolare sul problema Langbein, riuscendo infine a procurargli una borsa di studio (che durerà tre anni, fino al 1968) della New Land Foundation di Joseph Buttinger e Muriel Gardiner (Halbmayr 2012, 247-49). Grazie a questo finanziamento Langbein può dedicarsi alla scrittura del grande libro su Auschwitz.

Hermann Langbein, Menschen in Auschwitz, Europaverlag 1972, copertina.

Sono passati vent’anni dall’esperienza nel Lager, ma è paradossalmente il lavoro ai processi, con il contatto ravvicinato con gli imputati che presuppone, a permettere a Langbein di ridimensionare i criminali fino a vederli come semplici uomini e non più come demoni, guadagnando così il distacco emotivo necessario alla scrittura. Come racconterà più tardi in un’intervista: «Alla fine del Processo, Klehr [Josef Klehr] per me era diventato solo un vecchio criminale che si difendeva in modo goffo, e non più quel personaggio che era ad Auschwitz. Quando me ne sono reso conto mi sono detto: ora posso scrivere» (Pelinka 1993, 104). E gli esseri umani [Menschen] del titolo, infatti, non sono solo gli internati, ma tutta l’umanità coinvolta nella grande macchina di annientamento, e con essa dunque, anche le SS.

Gli anni ottanta e l’iniziativa “Testimoni del tempo” [Zeitzeugen]

Dopo gli anni dedicati a Menschen in Auschwitz, Langbein torna a occuparsi di resistenza nei campi di concentramento (Langbein 1980), e poi, in reazione all’ondata di negazionismo in Europa negli anni ottanta, intraprende il suo ultimo grande progetto: una ricca documentazione sulle camere a gas, che darà luogo a un comitato di ricerca e alla pubblicazione Nationalsozialistische Massentötungen durch Giftgas. Eine Dokumentation (Langbein 1986).

Nell’ultima parte della vita Langbein si dedica prevalentemente al rapporto con le giovani generazioni. Le prime esperienze come testimone di Auschwitz nelle scuole risalgono già agli anni del processo di Francoforte (1963-65), in Germania (Langbein 1967). Ma è poi verso la fine degli anni settanta che questo impegno prende una forma istituzionale e continuativa. Langbein infatti progetta e fa approvare un programma ufficiale per le scuole austriache (Zeitzeugen in der Schule) che sarà attivo per tutti gli anni ottanta e oltre, e con l’appoggio del Ministero dell’Istruzione austriaco prevedrà anche registrazioni video degli incontri con gli studenti (Halbmayr 2012, 207-26). Nel maggio del 1986, in quella che sarà l’ultima lettera inviata a Primo Levi, scrive: «Come prima, continuo ad andare nelle scuole […]: nelle discussioni mi trovo davvero bene (se sono condotte in modo intelligente, come di solito accade). Non mi stanco mai. E per di più adesso, con tutte le cose terribili che sono riemerse in occasione dell’elezione del Presidente federale, percepisco ancora più chiaramente qual è il nostro dovere in questo campo». La sua ultima conferenza in una scuola si tenne a Vienna il 31 marzo 1995, sette mesi prima della morte.

Riferimenti e bibliografia

La lettera di Levi alla casa editrice Mursia, datata 6 ottobre del 1973 è conservata nel Complesso di fondi Primo Levi, Fondo Primo Levi, Corrispondenza, Corrispondenza generale, Fasc. 7, sottofasc. 10, docc. da 30 a 32, ff. 335r e v.

La lettera di Langbein a Levi del 10 maggio 1986 è conservata nel Complesso di fondi Primo Levi, Fondo Primo Levi, Corrispondenza, Corrispondenza generale, Fasc. 1s7, sottofasc. 8, docc. da 12 a 14, ff. 246r e 246v. Il riferimento è al caso Waldheim: quell’anno fu eletto presidente federale austriaco Kurt Waldheim (1918-2007), noto per il suo passato da SA e per crimini di guerra commessi nei Balcani quando era ufficiale della Wehrmacht. Sul caso Waldheim si esprime anche Levi nell’intervista con Daniela Dawan del luglio 1986 sul «Bollettino della Comunità Israelitica di Milano», ora in OC, III, pp. 607-10, a p. 608.

Il rapporto medico sanitario di Leonardo De Benedetti e Primo Levi, si trova nel primo volume delle opere complete di Levi, OC I, pp. 1177-94.

Bibliografia.

Carteggi


di Alice Gardoncini e Martina Mengoni
L’inizio
 

«Caro amigo,

ich wende mich heute mit einem grossen Anliegen an Sie».

«Caro amigo,

quest’oggi mi rivolgo a Lei con una grande richiesta».

 

La corrispondenza tra Primo Levi e Hermann Langbein comincia così, il 13 dicembre del 1960. Levi ha ricevuto un anno prima la notizia che Se questo è un uomo, ripubblicato da Einaudi nel 1958, sarà tradotto in Germania; ne è seguito un lungo scambio epistolare con il traduttore, e la versione tedesca è già stata ultimata, ma il libro non è ancora uscito. Frattanto, a Vienna, Langbein sta raccogliendo testimonianze per il progetto editoriale Auschwitz. Zeugnisse und Berichte, l’antologia di racconti degli ex prigionieri del campo di concentramento e sterminio che il Comitato Internazionale di Auschwitz (Internationales Auschwitz Komitee, acronimo IAK) vuole far uscire in occasione del grande processo che si terrà a Francoforte. Per questo decide di scrivere anche a Levi: «Ho molto a cuore che nel volume sia rappresentata anche la letteratura italiana su Auschwitz» (Lettera 1, 13 dicembre 1960).

 
Leonardo De Benedetti

«Sono felice di poter collaborare ancora con lei», scrive ancora Langbein nella prima lettera a Levi: un segno che i due si conoscevano già, anche se, almeno finora, non c’è traccia scritta del loro primo contatto né del loro primo incontro; ma è possibile, anzi molto probabile, che si siano visti a Torino, all’inizio di aprile del 1959, grazie alla mediazione di Leonardo De Benedetti.

I primi contatti di Langbein con De Benedetti, medico torinese, compagno di deportazione di Primo Levi e suo caro amico, risalgono almeno al 1955, data in cui De Benedetti riceve una lettera circolare del costituendo Comitato Internazionale. La lettera è conservata nel Fondo Langbein presso l’Archivio di Stato di Vienna, ed è seguita, nello stesso faldone, da un lungo elenco dattiloscritto di nomi, redatto su quattro fogli di carta intestata «Dott. Leonardo De Benedetti», senza data: è una lista di ex-deportati italiani, per lo più di Torino (ma non solo), e il terzo nome è proprio quello di Primo Levi. Non c’è certezza su quando sia stata inviata, né nessun’altra traccia di scambio con De Benedetti fino al 1959; proprio in quell’anno, tra l’altro, De Benedetti deposita una denuncia a sua firma contro Joseph Mengele, «su richiesta del COMITATO INTERNAZIONALE DI AUSCHWITZ», ora pubblicata nella raccolta postuma Così fu Auschwitz (Levi – De Benedetti 2015, pp. 54-58).

È dunque possibile che Langbein si fosse messo in contatto con Levi già all’epoca della ricezione della lista di nomi; purtroppo, nessuna lettera anteriore al 1960 è conservata nei rispettivi archivi.

 
Un incontro a Torino?

Già dal 1957, anno della sua nascita, il Comitato Internazionale di Auschwitz si era fatto promotore di un concorso internazionale per il monumento commemorativo di Auschwitz-Birkenau (che sarà poi realizzato soltanto nella primavera del 1967, Simoncini 2012): questa impresa, insieme all’«Antologia Auschwitz», era diventata uno dei due impegni principali di Langbein come membro del Comitato. Nel 1959 era stata fissata la terza riunione della commissione, a Roma, per l’11 e 12 maggio: la presidenza della giuria del premio era passata in quei mesi allo storico dell’arte antifascista Lionello Venturi.

Dato che Langbein deve scendere una prima volta in Italia a inizio aprile per predisporre la riunione, De Benedetti lo invita a trascorrere due giorni a Torino e a partecipare a un’assemblea nella sede dell’ANED, organizzata per la sera del 4 aprile 1959 (Lettera di Leonardo De Benedetti a Hermann Langbein del 17 marzo 1959, Archivio di Stato di Vienna). A quell’incontro potrebbe aver preso parte anche Primo Levi che, oltre a essere amico di De Benedetti, era coinvolto direttamente nelle attività dell’associazione, come dimostra la sua partecipazione nel novembre dello stesso anno al congresso nazionale organizzato a Palazzo Madama, con un intervento intitolato «Arbeit macht frei» (OC II, 1297-98, Maida 2014).

Un mese dopo, in una lettera del maggio 1959, Langbein scrive a De Benedetti definendo Primo Levi «notre ami commun»: un’espressione magari enfatica, ma che certifica una conoscenza ormai avvenuta. E del resto, proprio la prima lettera di Langbein a Levi, un anno e mezzo dopo, comincia con quell’errore linguistico, «amigo», che si manterrà invariato in tutta la corrispondenza successiva, finché molti anni dopo Levi troverà il coraggio affettuoso per scrivergli, a mano e tra parentesi (in una cartolina datata 24 agosto 1972): «Caro amico, (amigo è spagnolo!)» (Lettera 32).    
Il combattente
 

Da questo antefatto comincia uno scambio che continuerà fino alla fine della vita di Levi, e che prenderà negli anni la forma di un bollettino costante di aggiornamento reciproco. È chiaro che, dopo la rispettiva esperienza ad Auschwitz, Primo Levi e Hermann Langbein sono impegnati sullo stesso fronte, contro un nemico comune che si presenta con un doppio volto: da un lato l’oblio delle persecuzioni e dei crimini nazisti, dall’altro il riemergere di istanze fasciste e antisemite in Europa e nel mondo. Langbein, dal canto suo, è un combattente – è stato deportato per la prima volta durante la guerra civile spagnola, in cui si era arruolato come volontario, ed è rimasto sei anni nei campi di prigionia tedeschi – e come tale si percepisce per tutta la vita. Dopo la guerra, (anzi, per lui, le guerre), le sue armi sono i dati, i documenti e le testimonianze: l’enorme archivio che ha lasciato ne è una conferma lampante. I suoi strumenti sono anche e soprattutto i rapporti umani, concretizzati in lunghe catene epistolari, in veri e propri comunicati periodici redatti in più lingue e inviati in tutta Europa e in Israele, e infine nei comitati internazionali di reduci, che Langbein non si stanca di far nascere, animare e mettere in contatto tra loro.

Levi segue questa attività frenetica con ammirazione e rispetto: collabora quando può, fornisce i nominativi e gli indirizzi di possibili contatti italiani (per lo più testimoni, ma anche editori), revisiona il materiale inviato dall’amico, e infine si adopera per far conoscere e tradurre la sua opera in Italia.

   
L'antologia su Auschwitz
 

Le prime lettere che Levi e Langbein si scambiano riguardano per lo più l’antologia su Auschwitz, e sono di carattere editoriale e organizzativo: Langbein racconta fin da subito a Levi la complicata vicenda dei suoi attriti politici con il Comitato Internazionale di Auschwitz, che ha avuto una svolta filosovietica e lo ha progressivamente demansionato; Levi, dal canto suo, lo sostiene e dà tutto il suo appoggio al progetto dell’«Antologia Auschwitz», che nonostante tutto va avanti, e per cui si scelgono infine due capitoli di Se questo è un uomo: «L’ultimo» e «Storia di dieci giorni», a cui si aggiunge – per volere di Levi – la poesia che apre il libro, Shemà.

Intanto è uscito in Germania ovest Ist das ein Mensch? (Levi 1961a), tradotto da Heinz Riedt; Langbein scrive a Levi di aver finalmente letto il suo libro per intero («L’ho letto tutto d’un fiato», Lettera 10, 5 dicembre 1961), di cui ha persino pubblicato una recensione sul quotidiano «Neues Österreich»: «Levi» scrive Langbein, «che nel suo Paese fa il chimico, con questo libro sconvolgente ha dato prova di essere uno scrittore superbo». Nella stessa recensione ci tiene anche ad annunciare che l’ultimo capitolo del libro, «Storia di dieci giorni», comparirà nell’antologia su Auschwitz, un progetto editoriale pensato «per le generazioni più giovani di lettori austriaci e tedeschi» (Die letzten Tagen der Un-Menschheit, «Neues Österreich», 6 gennaio 1962).

E proprio qualche mese dopo, nell’estate del 1962, Levi riceve le prime copie omaggio di Auschwitz. Zeugnisse und Berichte. Ne è molto soddisfatto, tanto da scrivere a Langbein: «sono rimasto colpito dalla serietà e dalla dignità dell’opera, e soprattutto dalla precisione delle “cross-references” contenute nelle Note finali. Il libro non può che rendere onore ai curatori, e di riflesso a tutti i compagni di Auschwitz» (Lettera 16, 25 agosto 1962).

   
Gli anni sessanta
 

Tra il 1963 e il 1972 Levi e Langbein si sentono più di rado, ma continuano a tenersi aggiornati sulle rispettive novità, tra cui l’uscita della traduzione tedesca della Tregua (Levi 1964), e una serie di celebrazioni organizzate dai comitati internazionali. Sullo sfondo della conversazione ci sono i processi ai criminali di Auschwitz: non solo quello di Francoforte, ma anche il Processo Bosshammer e il tentativo di costruire un grande Processo Auschwitz anche a Vienna (si veda il relativo Approfondimento). A questo proposito Levi invia nomi e indirizzi di possibili testimoni contro Johann Schindler, con cui Langbein tenterà di mettersi in contatto, ma l’istruttoria è ostacolata dalla magistratura e dalla difficoltà di reperire testimoni, come Langbein non si stanca di ripetere: «Continuo a cercare testimoni, perché raramente chi stava più in alto nella gerarchia ha ucciso di mano propria (e solo in questi casi è facile ottenere un’incriminazione e una condanna), oltre al fatto che di solito i prigionieri non conoscevano i nomi dei vice, ma solo quelli dei comandanti» (Lettera 28, 22 aprile 1972).

Se la catena di lettere in questo decennio sembra allentarsi, i due sono però in contatto anche per altre vie: nel 1967 infatti entrambi partecipano alla rete epistolare nata su iniziativa di Hety Schmitt-Maass, bibliotecaria e giornalista di Wiesbaden, lettrice appassionata di Se questo è un uomo, la quale con ostinazione riesce a rintracciare, tramite l’ex marito chimico, Ferdinand Meyer, l’ingegnere chimico che lavorava al laboratorio di Buna di Monowitz III (sottocampo di Auschwitz) nei mesi in cui Levi vi aveva prestato servizio coatto. Di lui, Levi non aveva mai fatto parola in Se questo è uomo: nasce così il primo e unico incontro epistolare, a più di vent’anni di distanza, con qualcuno che all’epoca stava «dall’altra parte». L’eccezionale ritrovamento innesca un vero e proprio «giro di posta»: Schmitt-Maass, Langbein e anche il filosofo austriaco Jean Améry ricevono in copia lettere che si scambiano Levi e Meyer, e tutti ne commentano il contenuto con gli altri (cfr. Carteggio HSM; carteggio Meyer). Saranno proprio Langbein e Schmitt-Maass a incontrare Ferdinand Meyer di persona, mentre Levi non ci riuscirà, e racconterà poi questa esperienza epistolare, trasfigurandola e trasformandola in letteratura, nel capitolo Vanadio del Sistema periodico, che uscirà per Einaudi nel 1975.

   
Portare in Italia Menschen in Auschwitz
 

È nel 1972 che lo scambio epistolare comincia a farsi più intenso e insieme più intimo: l’11 aprile Levi torna a scrivere a Langbein dopo due anni di silenzio, e si rivolge all’amico con un “tu” ormai confidenziale (Lettera 27, 11 aprile 1972). L’occasione è importante: Levi ha appena letto, grazie alla mediazione di Schmitt-Maass, un riassunto di Menschen in Auschwitz, libro a cui Langbein lavora dalla metà degli anni Sessanta e che sta per uscire per Europa Verlag. Si tratta dell’opera di una vita: attingendo non solo alla vasta bibliografia su Auschwitz del decennio precedente, ma anche e soprattutto a deposizioni, documenti processuali e ricordi diretti raccolti negli anni, Langbein scrive quella che con cauto understatement chiama «una sorta di studio sociologico su Auschwitz» (Lettera 28, 22 aprile 1972) ma che, a detta di Levi (che nel 1984 ne scriverà la prefazione per l’edizione italiana) si presenta piuttosto come la summa più completa di «tutto quanto sul Lager si potrebbe desiderare di sapere» (Levi 1984, OC II, 1567-1570: 1568).

È un libro che trae origine dal punto di osservazione ampio e privilegiato sul Lager che Langbein aveva potuto acquisire, suo malgrado, negli anni di prigionia a Auschwitz, come assistente e scrivano del medico SS Eduard Wirths, ma il cui sviluppo è frutto degli anni che precedono, accompagnano e seguono il grande processo Auschwitz di Francoforte: l’approccio socio-antropologico e il tono pacato sono infatti il risultato di un distacco a lungo cercato, ma raggiunto solo dopo i cinque anni di procedimenti giudiziari:

Per lungo tempo ho coltivato questo pensiero – la prima traccia di questo libro risale al 30 gennaio 1962 – ma poi ho sempre temporeggiato. Mi chiedevo se avessi già raggiunto il necessario distacco dalle mie esperienze personali per poter rappresentare oggettivamente i fatti: questo mio dubbio fu definitivamente superato durante il processo su Auschwitz tenutosi a Francoforte. Nell’autunno del 1960, subito dopo il suo arresto, fui messo a confronto con il medico delle SS Joseph Kehr di cui conoscevo bene i misfatti. Allora tutti i ricordi tornarono dolorosamente a rivivere e per lungo tempo fui perseguitato dalle impressioni che questo incontro aveva suscitato in me. Quando il grande processo di Francoforte, in cui anche Klehr figurava come imputato e al quale avevo assistito, ebbe termine dopo ben cinque anni, non vedevo più in Klehr – di cui avevo seguito il comportamento con particolare attenzione – l’essere onnipotente, il terrore dell’ospedale, bensì un delinquente anziano piuttosto rozzo, che si era difeso in modo deplorevole. Quando divenni consapevole di questo mutamento compresi che avrei potuto iniziare con fiducia il mio lavoro. Nel febbraio 1966 cominciai con lo studio delle fonti (Langbein 1972, 14, ed. or, 14-15).

Per Levi si tratta di una lettura importante, non facile, ma decisiva per la riflessione supplementare su Auschwitz che prende avvio alla metà degli anni settanta. Nella prefazione alla Notte dei girondini di Presser, libro che Levi traduce per Adelphi nel 1976, scrive:

Non è un caso che proprio in questi ultimi anni, in Italia ed all’estero, siano stati pubblicati libri come Menschen in Auschwitz di H. Langbein (non tradotto finora in italiano) e In quelle tenebre di Gitta Sereny: da molti segni, pare che sia giunto il tempo di esplorare lo spazio che separa le vittime dai carnefici, e di farlo con mano più leggera, e con spirito meno torbido, di quanto non si sia fatto ad esempio in alcuni recenti film ben noti. Solo una retorica manichea può sostenere che quello spazio sia vuoto; non lo è, è costellato di figure turpi, miserevoli o patetiche (talora posseggono le tre qualità ad un tempo), che è indispensabile conoscere se vogliamo conoscere la specie umana, se vogliamo saper difendere le nostre anime quando una simile prova dovesse ritornare (OC II, 1381-82).

In questo passo esiste già, implicito ma evidente, il concetto di zona grigia, che Levi elaborerà nei Sommersi e i salvati (Mengoni 2021, 143), e che è il risultato, come si legge, prima di tutto di letture, ma anche incontri epistolari (come quello con Ferdinand Meyer), e del clima storico politico dei primi anni settanta: mentre in Italia e in Europa si iniziano a scorgere i segnali allarmanti di un ritorno del fascismo, Levi considera il libro di Langbein un antidoto e uno strumento politico essenziale. Per questo cerca in tutti i modi di portarlo in Italia, e dal carteggio emerge l’intera storia editoriale della traduzione: Einaudi, che all’inizio sembra interessata, lascia cadere quasi subito la proposta; anche Feltrinelli, che ne aveva opzionato i diritti, e con cui Langbein aveva collaborato nei primi anni sessanta (cfr. Biografia), fa un passo indietro. Nel 1974, Levi coinvolge allora la casa editrice Mursia, che accetta di tradurre l’opera a patto di una sostanziosa riduzione (Lettera 42, 15 febbraio 1974). Ma la trattativa procede lenta, i tempi si allungano, e nel frattempo Levi inserisce un capitolo di Menschen in Auschwitz nella sua antologia personale di libri fondamentali, La ricerca delle radici, che esce per Einaudi nel 1981. Il brano scelto è la conclusione del libro, che Levi traduce di sua mano. Quello di Langbein, scrive Levi nell’introduzione, «è un libro che mi sta a cuore, che mi sembra fondamentale, e che vorrei aver scritto io» (OC II, 221).

Uomini ad Auschwitz uscirà per Mursia solo nel 1984, in un’edizione non integrale, e con la prefazione di Primo Levi.

 
Gli anni ottanta e il negazionismo
 

Con il passare del tempo, tra Levi e Langbein si accumulano gli incontri mancati: nel 1965 a Düsseldorf, per un evento organizzato da un nuovo comitato internazionale apartitico voluto e creato da Langbein, il Comitato Internazionale dei Campi (CIC); e poi nel 1970, a Bruxelles, per le celebrazioni del 25° anniversario della Liberazione; ancora, nel luglio del 1974, a Berlino, per un raduno di comitati internazionali che aveva lo scopo di organizzare le celebrazioni dell’anno successivo (Lettera 38, 28 dicembre 1973); e infine nel 1976, a Riva del Garda, per un congresso dell’ANEI. È sempre Levi che, per lo più a causa del lavoro o di impegni personali, non riesce a partecipare a questi appuntamenti con gli ex deportati.

Negli anni ottanta arriva finalmente l’occasione giusta per un incontro di persona. L’ANED organizza due convegni in Italia, e per giunta proprio a Torino: uno a Palazzo Lascaris il 28 e 29 ottobre 1983 (ANED 1984) e l’altro, a tre anni di distanza, il 21 e 22 novembre 1986 (ANED 1988). «Spero che tu sia contento del congresso» scrive Levi all’amico Hermann, a caldo, il 31 ottobre 1983, «Non ho molta esperienza in merito, ma ho l’impressione che tu sia stato piuttosto bravo, senza cadere nell’eccesso di retorica né in ripetizioni. A mio avviso la tua relazione e quella della signorina [Anna] Bravo sono state le migliori. | Mi auguro che il ritorno a Vienna sia andato bene e sono felice di averti rivisto in buona salute e in piena attività come al solito» (Lettera 57, 31 ottobre 1983).

Levi ne frattempo è andato pensione e ha scritto il suo primo vero e proprio romanzo, Se non ora quando?, e ne racconta l’avventura all’amico (Lettera 54, 6 gennaio 1982). Langbein, dal canto suo, continua il suo impegno nelle scuole e con i comitati. Proprio all’incrocio di queste due spinte è nato anche il suo progetto più recente: una grande ricerca documentaria, scientifica e bibliografica, sulle camere a gas, con l’intento di combattere l’ondata revisionista che si sta diffondendo in Europa (Lettera 53, 30 dicembre 1981). La ricerca sfocerà in un libro, Nationalsozialistische Massentötungen durch Giftgas. Eine Dokumentation [“Gli omicidi di massa del nazionalisocialismo con il gas tossico. Una documentazione”], curato con lo storico ed ex deportato Eugen Kogon e con il procuratore Adalbert Rückerl (Langbein 1986). Anche Levi, in parte, contribuisce al progetto, inviando all’amico la minuziosa revisione del capitolo sulla composizione chimica dello Zyklon B: «Sono certo che comprenderai i motivi della mia pignoleria: è che i nostri avversari sono pignoli, non depongono le armi, e sarebbe preferibile non farsi cogliere alla sprovvista da loro, o persino doverne subire le critiche» (Lettera 57, 31 ottobre 1983).

 
Congedo
 

Nell’ultimo decennio gli scambi epistolari tra Levi e Langbein si diradano, eppure le lettere si fanno anche più lunghe e personali, perché in fondo riguardano i differenti modi di ciascuno dei due di vestire ancora i panni del testimone. Se per Langbein è l’attività nelle scuole ad assumere sempre più importanza, per Levi al centro c’è la scrittura, ormai diventata un’occupazione a tempo pieno, mentre confessa all’amico una difficoltà sempre maggiore nel comprendere e farsi comprendere dai più giovani: «Tu sei rimasto fedele e attivo e continui ad andare nelle scuole; io devo confessare che non ho più voglia di farlo. Mi è sempre più difficile trovare un linguaggio comune con i giovani. Sono (giustamente) alle prese con questioni molto diverse, soprattutto con la disoccupazione e con le carenze nell’istruzione. Mi chiedono se ho una fede religiosa e, in caso contrario, perché, il che mi lascia sconcertato. | Preferisco esprimermi per mezzo della scrittura. Tra qualche mese verrà pubblicata una raccolta di 9 saggi. Spero che li troverai interessanti» (Lettera 63, 28 marzo 1986). È l’ultima lettera di Levi, in tedesco; contiene un lungo ragguaglio sulla fortuna (e sfortuna) dei suoi libri all’estero e un dettagliato schema del libro a cui sta lavorando e per il quale proprio Langbein è stato così importante: I sommersi e i salvati.

   
Bibliografia

Tutte le lettere


Lettere di Hermann Langbein


001. Hermann Langbein a Primo Levi, 13 dicembre 1960

003. Hermann Langbein a Primo Levi, 6 febbraio 1961

006. Hermann Langbein a Primo Levi, 28 agosto 1961

007. Hermann Langbein a Primo Levi, 28 settembre 1961

009. Hermann Langbein a Primo Levi, 24 ottobre 1961

010. Hermann Langbein a Primo Levi, 5 dicembre 1961

012. Hermann Langbein a Primo Levi, 13 dicembre 1961

013. Hermann Langbein a Primo Levi, 8 gennaio 1962

015. Hermann Langbein a Primo Levi, 8 febbraio 1962

020. Hermann Langbein a Primo Levi, 5 marzo 1965

021. Hermann Langbein a Primo Levi, 9 dicembre 1969

023. Hermann Langbein a Primo Levi, 3 gennaio 1970

026. Hermann Langbein a Primo Levi, 23 luglio 1970

028. Hermann Langbein a Primo Levi, 22 aprile 1972

030. Hermann Langbein a Primo Levi, 10 maggio 1972

031. Hermann Langbein a Primo Levi, 11 agosto 1972

033. Hermann Langbein a Primo Levi, 1 settembre 1972

035. Hermann Langbein a Primo Levi, 8 novembre 1972

037. Hermann Langbein a Primo Levi, 1 dicembre 1972

038. Hermann Langbein a Primo Levi, 28 dicembre 1972

040. Hermann Langbein a Primo Levi, 6 febbraio 1974

043. Hermann Langbein a Primo Levi, 21 febbraio 1974

045. Hermann Langbein a Primo Levi, 24 maggio 1974

046. Hermann Langbein a Primo Levi, 26 luglio 1974

047. Hermann Langbein a Primo Levi, 17 settembre 1974

049. Hermann Langbein a Primo Levi, 4 ottobre 1974

050. Hermann Langbein a Primo Levi, 18 marzo 1976

053. Hermann Langbein a Primo Levi, 30 dicembre 1981

055. Hermann Langbein a Primo Levi, 20 ottobre 1983

059. Hermann Langbein a Primo Levi, 11 novembre 1983

061. Hermann Langbein a Primo Levi, 9 febbraio 1985

062. Hermann Langbein a Primo Levi, 22 marzo 1986

064. Hermann Langbein a Primo Levi, 10 maggio 1986

Lettere a Hermann Langbein


002. Primo Levi a Hermann Langbein, 17 dicembre 1960

004. Primo Levi a Hermann Langbein, 11 febbraio 1961

005. Primo Levi a Hermann Langbein, 19 aprile 1961

008. Primo Levi a Hermann Langbein, 1 ottobre 1961

011. Primo Levi a Hermann Langbein, 7 dicembre 1961

014. Primo Levi a Hermann Langbein, 13 gennaio 1962

016. Primo Levi a Hermann Langbein, 25 agosto 1962

017. Primo Levi a Hermann Langbein, 2 novembre 1963

018. Primo Levi a Hermann Langbein, 15 luglio 1964

019. Primo Levi a Hermann Langbein, 18 febbraio 1965

022. Primo Levi a Hermann Langbein, 14 dicembre 1969

024. Primo Levi a Hermann Langbein, 15 gennaio 1970

025. Primo Levi a Hermann Langbein, 15 luglio 1970

027. Primo Levi a Hermann Langbein, 11 aprile 1972

029. Primo Levi a Hermann Langbein, 30 aprile 1972

032. Primo Levi a Hermann Langbein, 24 agosto 1972

034. Primo Levi a Hermann Langbein, 7 settembre 1972

036. Primo Levi a Hermann Langbein, 19 novembre 1972

039. Primo Levi a Hermann Langbein, 14 gennaio 1974

041. Primo Levi a Hermann Langbein, 10 febbraio 1974

042. Primo Levi a Hermann Langbein, 15 febbraio 1974

044. Primo Levi a Hermann Langbein, 29 aprile 1974

048. Primo Levi a Hermann Langbein, 28 settembre 1974

051. Primo Levi a Hermann Langbein, 10 aprile 1976

052. Primo Levi a Hermann Langbein, 3 marzo 1979

054. Primo Levi a Hermann Langbein, 6 gennaio 1982

056. Primo Levi a Hermann Langbein, 26 ottobre [1983]

057. Primo Levi a Hermann Langbein, 31 ottobre 1983

058. Primo Levi a Hermann Langbein, 3 novembre 1983

060. Primo Levi a Hermann Langbein, 24 novembre 1983

063. Primo Levi a Hermann Langbein, 28 marzo 1986

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