Primo Levi

Biografia


di Martina Mengoni

Primo Levi nasce a Torino nel 1919, in corso Re Umberto, nella casa in cui vivrà per tutta la vita; studia al Liceo d’Azeglio, poi si iscrive alla Facoltà di Chimica, dove si laurea nel 1941. Dopo l’8 settembre 1943 si unisce a un gruppo partigiano in Valle d’Aosta in cui già militavano alcuni dei suoi più cari amici; ma nel giro di dieci giorni sono intercettati e catturati dai fascisti. Levi, ebreo, è spedito prima a Fossoli e poi ad Auschwitz, dove arriva nel febbraio 1944 e dove resta undici mesi. Dopo la liberazione del campo da parte dei russi, il 27 gennaio 1945, inizia un lungo viaggio di ritorno a casa attraverso l’Europa centrale che dura nove mesi. Rientra a Torino nell’ottobre successivo.

In seguito a varie esperienze di lavoro è assunto alla Siva, una fabbrica di vernici di Settimo Torinese, di cui presto diventa direttore generale, carica che manterrà fino al pensionamento. 

Nel 1947 esce per l’editore torinese De Silva Se questo è un uomo, il racconto dei suoi mesi di prigionia ad Auschwitz. Nel frattempo, Levi ha scritto e sta scrivendo altri racconti, per lo più fantastici: I mnemagoghi e Maria e il cerchio compaiono entrambi nel 1948 su «L’Italia Socialista»; Fine del Marinese esce nel 1949 sul «Ponte» ; nel 1950 «l’Unità» pubblica Turno di notte. Per il resto, negli anni cinquanta l’esperienza di Auschwitz sembra dimenticata da tutti. Ma nel 1955 arriva un nuovo contratto per Se questo è un uomo, che sarà ripubblicato nel 1958 da Einaudi, con sostanziali modifiche. Nel frattempo, Levi si è sposato con Lucia Morpurgo e ha avuto due figli, Lisa e Renzo. 

Nel 1963, ancora per Einaudi, esce La tregua, il racconto delle peregrinazioni da Auschwitz a Torino, passando per l’Ucraina, la Russia Bianca, la Romania: un libro che tiene insieme l’avventura e il trauma, il racconto di un’Europa distrutta e quello degli espedienti, degli incontri, della curiosità ritrovata verso il mondo e verso le vicende altrui, in un’atmosfera di sospensione e di attesa. Vi si trovano alcuni dei personaggi più memorabili dell’opera di Levi: Leonardo, Cesare, il Greco. Il libro vince la prima edizione del Premio Campiello. 

Tra la fine degli anni cinquanta e il principio degli anni sessanta sono anche cominciate altre due esperienze cruciali nella vita di Primo Levi: gli incontri nelle scuole come testimone della deportazione, un’attività che non smetterà mai di portare avanti, tanto da nominarla «il mio terzo mestiere»; e gli scambi epistolari con i lettori tedeschi. Se questo è un uomo è stato infatti pubblicato in Germania ovest nel 1961 con il titolo Ist das ein Mensch?, tradotto da Heinz Riedt. Da quel momento, Levi ha cominciato a ricevere lettere di lettori e lettrici, intellettuali, ex deportati, ma anche tedeschi che provano a giustificare quanto è accaduto. 

Sulla sua scrivania continuano frattanto a convivere testi e progetti molto diversi tra di loro: interventi su Auschwitz e sull’esperienza concentrazionaria (che dagli anni sessanta, con i processi di Gerusalemme e di Francoforte, sono finalmente diventati temi di rilievo per l’opinione pubblica internazionale), ma anche poesie; racconti fantastici e racconti di fabbrica; saggi letterari e scientifici; traduzioni. Molti dei libri che pubblicherà nei due decenni successivi stanno già nascendo e prendendo forma, o esistono in forma di singoli racconti, abbozzi, brevi storie di cui Levi è provvisoriamente insoddisfatto.  

Nel 1966 esce Storie naturali, ma con lo pseudonimo di Damiano Malabaila, soprattutto per volere di Einaudi, che preferiva non accostare queste nuove storie all’esperienza di Auschwitz. Storie naturali è infatti un libro di quindici racconti fantastici; una buona parte di essi ha come protagonista un intraprendente piazzista americano, Simpson, che propone macchinari futuribili a un chimico-scrittore curioso e sperimentatore. Ci sono elettrodomestici che versificano e misuratori di bellezza, stampanti 3D che clonano qualsiasi cosa (umani compresi) e simulatori di realtà virtuale che sovrascrivono i ricordi. Ma questa è solo una parte del libro: ci sono anche, insieme, tetri racconti tedeschi di esperimenti scientifici su cavie umane e animali, tenie che compongono poesie per l’uomo di cui sono ospiti, polli che lavorano come censori di una burocrazia totalitaria, e infine un concilio di demoni che si trova a varare l’animale-uomo. Il libro ha un discreto successo, e Levi lavora a nuove storie fantastiche, che pubblica nel 1971 con il titolo Vizio di forma (e questa volta col suo nome): non c’è più Simpson e la faccia angosciante del potere della scienza è ancora più visibile, con una nuova e più marcata attenzione al rapporto tra tecnologia e ambiente, tra progresso ed ecologia. 

Del 1975 è il suo libro di racconti più famoso, Il sistema periodico: ventuno storie con altrettanti nomi di elementi chimici, che cominciano con Argon, le vicende degli antenati ebreo piemontesi, e si concludono con Carbonio, la storia di un atomo che si stacca dalla roccia e vaga per il mondo, attraversando tempo e spazio. Nel mezzo, ciascuna storia scandisce una tappa della biografia leviana, ma sempre trasfigurata in letteratura, con una carrellata di personaggi e ritratti ideali per lo più costruiti in contrasto con il protagonista che dice io. Il penultimo racconto, Vanadio, ripercorre la circostanza del più peculiare tra i suoi carteggi tedeschi, quello con il suo ex-capo laboratorio ad Auschwitz, l’ingegnere chimico tedesco Ferdinand Meyer, che nel racconto si chiama Lothar Müller. Il carteggio tra Levi e Meyer (e il giro di posta che ne scaturì) si potrà leggere in questo portale, qui.  

Nel 1978, Levi pubblica La chiave a stella: il protagonista di tutti i racconti, che hanno quasi l’unità di un romanzo senza mai davvero raggiungerla, è Libertino Faussone, un operaio specializzato piemontese che gira il mondo per montare gru, ponti, derrick. Un uomo d’avventura che si esprime in dialetto, e che racconta le sue storie a un alter ego leviano con cui si confronta sul piacere di esercitare un mestiere e sul rapporto tra il pensare e il fare, ovvero tra le mani e l’intelletto, tra fatto e racconto, tra azione e parola. 

Nella prima metà degli anni ottanta Levi pubblica altre due raccolte: Lilìt e altri racconti (1981), un libro composito, costruito su tre sezioni (Passato prossimo, Presente indicativo e Futuro anteriore), di cui la prima è una sequenza di racconti su Auschwitz, ma con un tono molto diverso da Se questo è un uomo, mentre le altre due riprendono il filone fantastico-tecnologico di Storie naturali e Vizio di forma; e L’altrui mestiere (1985), una raccolta in cui il saggismo leviano tocca temi che lo appassionano da sempre: non solo la chimica, ma anche la sociolinguistica, l’umorismo, gli animali, l’etnografia. Del 1981 è anche la sua prima antologia personale, La ricerca delle radici, una scelta di brani di libri che per lui sono stati fondamentali, introdotti e commentati; mentre nel 1982 esce il primo e unico romanzo d’invenzione di Levi, Se non ora, quando?, un’avventura partigiana dal sapore western ambientata nell’Europa orientale. È del 1984 la raccolta poetica Ad ora incerta. Il titolo riprende un verso della Ballata del vecchio marinaio di Samuel Taylor Coleridge: col personaggio del marinaio, che «arpiona al petto» gli invitati a un matrimonio costringendoli ad ascoltare la sua storia, Levi si è identificato fin dal suo ritorno da Auschwitz, quando raccontare era diventata un’esigenza primaria e ossessiva. 

In questi anni Levi si cimenta anche nell’attività di traduzione, da almeno quattro lingue: dopo La notte dei girondini di Jacob Presser, libro-testimonianza sul campo di Westerbork che Levi aveva tradotto nel 1976 per Adelphi addirittura dall’olandese, nel 1983 Levi firma la sua prima traduzione letteraria, quella al Processo di Kafka, che inaugura la collana einaudiana «Scrittori tradotti da scrittori». Nei due anni successivi, ancora per Einaudi, escono le sue versioni italiane de Lo sguardo da lontano (1984) e La via delle maschere (1985) di Claude Lévi-Strauss. E non era del resto la prima volta che Levi si cimentava con l’antropologia: nel 1979 aveva già tradotto, sempre per Einaudi, I simboli naturali di Mary Douglas.

L'ultimo libro

Nel 1986, oltre a Racconti e saggi, esce quello che è forse il libro di Levi più coraggioso e travagliato, e destinato, ancor più di Se questo è un uomo, a restare un classico del pensiero su Auschwitz, sui rapporti di potere tra gli uomini, sulla coercizione, sulla vergogna post traumatica, sulla possibilità di resistere al fascino del privilegio e sulle fallacie della memoria: I sommersi e i salvati, un libro che, se letto dalla fine al principio svela anche la propria origine più che ventennale. L’ultimo capitolo si intitola infatti «Lettere di tedeschi», e propone, in un compendio di poche pagine, il racconto di alcuni dei carteggi che trovate pubblicati in questo sito, e del tessuto di reti e relazioni che grazie ad essi Levi ha intrecciato per tutta la sua vita. 

Primo Levi muore suicida l’11 aprile 1987.

 

Nota bibliografica

Una biografia più estesa di e su Levi si trova nella pagina dedicata del Centro Internazionale Primo Levi di Torino, nel cui sito si possono trovare anche un elenco delle opere, e un regesto di tutte le traduzioni delle sue opere; le Opere complete di Primo Levi sono pubblicate da Einaudi a cura di Marco Belpoliti nel 2916, in due volumi; un terzo volume, uscito nel 2018, contiene le conversazioni e le interviste, e una serie di  indici dei tre volumi a cura di Daniela Muraca e Domenico Scarpa. Nel 2017 è uscito anche l’Album Primo Levi, a cura di Domenico Scarpa e Roberta Mori, che ripercorre la biografia leviana a partire da immagini e documenti per lo più inediti. 

Le due biografie più approfondite di Levi sono quelle di Ian Thomson e di Carole Angier, entrambe del 2002. Nel 2022 Domenico Scarpa ha pubblicato per Einaudi Bibliografia di Primo Levi ovvero Il primo Atlante, la prima bibliografia leviana che censisce non solo tutti i suoi scritti, le sue interviste, gli interventi orali,  ma anche tutti i carteggi finora menzionati e pubblicati.

Carteggi


di Martina Mengoni  

Scrivere a Primo Levi, rispondere ai tedeschi
Sopravvissuto ad Auschwitz, Primo Levi non tronca i suoi rapporti con i tedeschi. Al contrario, nel secondo dopoguerra, il confronto con la Germania è una storia di incontri, letture, scambi epistolari, tentativi editoriali, elaborazioni letterarie e, soprattutto, di domande che attendono una risposta. Che i tedeschi abbiano rappresentato un rovello per Primo Levi (uomo, scrittore, testimone, perfino chimico) è un dato di fatto. Come questa relazione difficile, ondivaga, a tratti entusiasta, a tratti frustrante, si sia modificata nel tempo, dentro e fuori la sua scrittura, è l’oggetto di questa edizione critica. LeviNeT può oggi ricostruire questa vicenda contando su una mole di documenti poco noti o inediti, provenienti in prima battuta dall’archivio privato di Levi, e poi da archivi di tutta Europa.  
Il traduttore
La prima corrispondenza tedesca comincia prima ancora che Se questo è un uomo sia pubblicato in Germania: ed è quella con il suo traduttore, Heinz Riedt. Il carteggio tra Primo Levi e Heinz Riedt è prima di tutto e soprattutto la storia di uno scambio e di un’amicizia tra due intellettuali europei. Ha come movente iniziale la traduzione in tedesco di Se questo è uomo, eppure, quasi fin da subito, diventa molto altro e molto di più: vi convergono due vicende parallele di “resistenza”, quella di Primo Levi, catturato in Valle d’Aosta e deportato ad Auschwitz, e quella di Heinz Riedt, che si fa riformare dalla Wehrmacht, e che entra a far parte della Brigata Partigiana Trentin a Padova. Vi confluiscono le vicissitudini di due grandi lettori, uno scrittore e un traduttore, al di qua e al di là della cortina di ferro: Heinz Riedt vive fino al 1961 a Berlino Est. Il racconto della sua drammatica fuga a ovest, e poi lo scambio di opinioni sulle sorti dell’Europa e di Israele sono al centro di molte lettere. Non solo non esistono molti altri carteggi così ricchi, appassionati, dettagliati sulla traduzione di un classico in un’altra lingua, in cui l’autore e il traduttore collaborano, propongono, discutono; ma ne esistono ancora meno in grado di tenere sempre intrecciate le vicende editoriali (di due, però, che sempre resteranno un po’ outsider nel mondo letterario) con il racconto di quasi trent’anni di storia europea.  
I primi lettori
Non appena Ist das ein Mensch appare in Germania Ovest, nel novembre 1961, Levi comincia a ricevere lettere dai suoi lettori tedeschi. Tra loro, il giovane Wolfgang Beutin, socialdemocratico, storico, sociologo, scrittore. La sua lettera giunse a Levi addirittura in simultanea con le prime copie del libro. Il 10 dicembre 1961, Levi gli replicava così: «è proprio la lettera che aspettavo e speravo di ricevere, e mi ha reso felice. Perché? Perché lei è giovane, e perché è tedesco». Con Beutin, Levi dialoga soprattutto di politica e letteratura, ricevendo molti e disparati consigli di lettura: Kurt Tucholsky, alcuni saggi di Freud, il primo Thomas Mann e suo fratello Heinrich, Ernst Toller. Ma anche gli scrittori del presente interessano Levi. Nella primavera 1962 inizia la sua corrispondenza con Albrecht Goes e Hans-Jürgen Fröhlich. Goes era un pastore protestante che aveva scritto un romanzo sulla propria esperienza di cappellano di guerra nella Wehrmacht, pubblicato da Einaudi nel 1959, col titolo Prima dell’alba. Fröhlich conduceva un programma radiofonico in cui aveva recensito Se questo è un uomo; Levi la definì «la recensione più esaustiva e amichevole che il mio libro ha avuto finora in Germania».
Corrispondenti e antologie
Sempre in quegli anni, e addirittura prima, nel 1960, Levi aveva avviato uno scambio epistolare con Hermann Langbein, storico austriaco, ex triangolo rosso (comunista), sei anni nei campi di concentramento in Lager, segretario generale del Comitato Internazionale di Auschwitz. Langbein coinvolse Levi nel progetto di una grande antologia di testimonianze di vittime e carnefici di Auschwitz: doveva uscire in contemporanea con la prima istruttoria del processo di Francoforte contro i responsabili del campo, ma il libro fu pubblicato già nel 1962 e vi furono inclusi due capitoli di Se questo è un uomo. Levi e Langbein continuarono a corrispondere per tutti gli anni settanta: fu Levi a farsi da mediatore per la traduzione italiana di Menschen in Auschwitz, la summa di tutte le ricerche dello storico austriaco. Insieme ragionarono su come contrastare gli storici revisionisti e negazionisti che mettevano in dubbio l’esistenza delle camere a gas; e su come rilanciare la memoria di Auschwitz per opporsi alla minaccia di un ritorno di fascismo in Europa. Nel 1964 un ulteriore capitolo di Se questo è un uomo uscì in un volume-strenna che le acciaierie Hoesch di Dortmund distribuirono ai loro dirigenti e dipendenti. Nella Germania di Hitler le grandi industrie avevano dato un sostegno decisivo al regime. Ora una di quelle industrie pubblicava un volume sulla fratellanza, di ispirazione cattolico-liberale, curato dallo stesso Albrecht Goes. In un contesto di invito all’accoglienza e all’ecumenismo cristiano, Levi aveva scelto il capitolo «Ottobre 1944» che si concludeva con la ben nota sentenza «Se io fossi Dio, sputerei a terra la preghiera di Kuhn».
«una quarantina di lettere»
Per sua stessa ammissione, Levi riceve in quegli anni «una quarantina di lettere» di lettori tedeschi. Nel 1963 annuncia in due interviste che Einaudi intende pubblicarle. È una non-notizia, perché il libro non si farà, ma è anche una notizia: apprendiamo che per Levi, fin da allora, le lettere dei lettori tedeschi possedevano una dignità editoriale e di contenuto autonoma rispetto al libro che le aveva originate. Più tardi, Levi avrebbe affidato quelle corrispondenze (denominandole «il progetto tedesco») a Kurt Heinrich Wolff, un sociologo tedesco naturalizzato statunitense. Wolff era un «tedesco anomalo». Fuggito dalla Germania perché ebreo, rifugiatosi in Italia negli anni Trenta, emigrò infine negli Stati Uniti diventando professore alla Brandeis University. Nei primi anni Cinquanta, invitato da Max Horkheimer, partecipò ai Gruppen-Experimenten dell’Istituto di Sociologia di Francoforte, che aveva appena riaperto dopo la guerra, redigendo due studi: uno sull’autorappresentazione della popolazione tedesca dopo la guerra (German attempts at picturing Germany), l’altro sulla denazificazione della Germania (The American Denazification of Germany). Nel 1963, Wolff ottenne una borsa Fulbright in Italia, e Levi entrò in contatto con lui proprio in quei mesi, probabilmente tramite la sorella Anna Maria e il sociologo Franco Ferrarotti. Sono queste le premesse in base alle quali gli affidò le lettere del «progetto tedesco». [link]   Così come la pubblicazione di un libro, anche la sua mancata pubblicazione può cambiare la vita, l’opera e l’autocoscienza di uno scrittore. In molte interviste dei suoi ultimi anni Levi ha parlato di Se questo è un uomo come una memoria-protesi: i ricordi che aveva messi per iscritto tendevano a sovrapporsi ai ricordi ricordati: «una memoria esterna che si interpone tra il mio vivere di oggi e quello di allora». La mancata pubblicazione delle lettere di tedeschi negli anni ’60 ebbe l’effetto opposto: quelle corrispondenze, rimaste chiuse nella loro cartellina, continuarono nel corso degli anni a esercitare la loro carica interrogativa dall’interno, in maniera regolare e persistente, senza che Levi avesse avuto la possibilità di oggettivarne i significati attraverso la scrittura. Sarebbero così diventate l’ultimo capitolo del suo ultimo libro, I sommersi e i salvati: dove ebbero il titolo «Lettere di tedeschi», inevitabile quanto il dialogo che le aveva propiziate.
Un giro di posta
Nel 1965, quando falliscono i progetti editoriali sulle lettere, la corrispondenza tedesca forse più importante deve ancora innescarsi. Un anno dopo, sul finire del 1966, Levi iniziò il suo scambio epistolare con Hety Schmitt-Maass, sua coetanea, bibliotecaria e giornalista di Wiesbaden, poi assessore alla cultura della regione dell’Hessen. Levi ne fa un ritratto nel capitolo Lettere di tedeschi dei Sommersi e i salvati: 

«Da sola, la mia cartella "HS" è piú voluminosa di quella in cui conservo tutte le altre "lettere di tedeschi". La nostra corrispondenza si protrae per sedici anni, dall’ottobre 1966 al novembre 1982. Contiene, oltre ad una cinquantina di sue lettere (spesso di quattro o piú facciate) con le mie risposte, anche le veline di almeno altrettante lettere da lei scritte ai suoi figli, ad amici, ad altri scrittori, a editori, ad enti locali, a giornali o riviste, e di cui ha ritenuto importante mandarmi copia; inoltre, ritagli di giornali e recensioni di libri. Alcune delle sue lettere sono "circolari": mezza pagina è in fotocopia, uguale per vari corrispondenti, il resto, bianco, è riempito a mano con le notizie o le domande piú personali. La signora Hety mi scriveva in tedesco e non conosceva l’italiano; le ho risposto inizialmente in francese, poi mi sono reso conto che capiva con difficoltà e per molto tempo le ho scritto in inglese. Piú tardi, col suo divertito consenso, le ho scritto nel mio tedesco incerto, in duplice copia; lei me ne restituiva una, con le sue correzioni "ragionate". Ci siamo incontrati solo due volte: a casa sua, durante un mio frettoloso viaggio d’affari in Germania, ed a Torino, durante una sua vacanza altrettanto frettolosa. Non sono stati incontri importanti: le lettere contano molto di piú».

In tutto le lettere sono centodieci, quattro le lingue, quattordici gli anni. Tra i due, Hety è senz’altro la più prolissa; ma lo stesso Levi si mostra particolarmente solerte e desideroso di informazioni; è spesso il primo a prendere l’iniziativa di scrivere se l’altra ritarda la risposta. La curiosità di Levi era alimentata dalla grande quantità di materiale tedesco che Hety gli fornì nel corso degli anni: come lui stesso ricorda, articoli, recensioni, suggerimenti di lettura, ma soprattutto contatti, scambi con altri corrispondenti su cui Hety richiedeva a Levi un’opinione, se non un intervento. Era stato Hermann Langbein a suggerire a Hety Schmitt-Maass la lettura di Ist das ein Mensch?. L’incontro tra Langbein e Hety risaliva proprio alla metà degli anni sessanta. Langbein, abbandonata ogni carica nel partito comunista austriaco, aveva in progetto di scrivere Menschen in Auschwitz, e aveva preso accordi con la Europa Verlag, ma stava cercando un finanziamento e un sostentamento per sé e per la sua famiglia durante il periodo di progettazione e scrittura del libro. Hety, che in quegli anni si occupava dell’ufficio stampa del Kultursminister dell’Hessen, fu una delle principali fund raiser di questa operazione. Hety aveva scritto per un giornale locale un articolo che inviò prontamente a Levi. Era una recensione: fra i libri trattati, figurava anche Jenseits von Schuld und Sühne. Bewältigungsversuche eines Überwältigten («Al di là della colpa e dell’espiazione. Tentativo di superamento di un sopraffatto») di Jean Améry, che in Italia sarebbe stato tradotto solo dopo la morte di Levi, con il titolo Intellettuale ad Auschwitz. Hety scrisse anche ad Améry, inviandogli una copia del suo articolo Jean Améry, austriaco, classe 1912, all’anagrafe si chiamava Hans Mayer; a seguito dell’Anschluss, il giovane Hans, di famiglia ebraica, dovette rifugiarsi in Belgio, e qui fu costretto a cambiare nome. Hans-Jean entrò a far parte della resistenza belga, ma venne catturato dalla Gestapo, torturato e spedito ad Auschwitz, da cui fu trasferito in seguito a Buchenwald e a Bergen-Belsen. Dopo la liberazione si stabilí in Belgio, dove diventò giornalista, scrittore e filosofo. Fino al 1964 non scrisse una parola su Auschwitz: finché alcuni suoi reportage radiofonici sul Lager ebbero un grande successo. Da quelle trasmissioni nacque il volume, pubblicato in Germania due anni piú tardi. Subito dopo aver letto la recensione di Hety, Levi le chiede, ottenendola, una copia del libro di Améry. Nell’arco di due mesi, dopo aver letto Jenseits von Schuld und Sühne, Levi prende contatto autonomo con Jean Améry. All’inizio del 1967, Primo Levi, Hety Schmitt-Maass e Jean Améry corrispondono ciascuno con gli altri due in modo indipendente.
L'ex capolaboratorio: Ferdinand Meyer
Quasi subito, al principio del loro scambio epistolare, Levi aveva domandato a Hety se fosse possibile rintracciare i tecnici ingegneri tedeschi che lavoravano nel reparto polimerizzazione della fabbrica di Buna in Auschwitz III - Monowitz: tra questi, il Doktor Ingenieur Meyer. Hety riuscí a trovarlo e gli scrisse fornendogli l’indirizzo di Primo Levi. Questa vicenda del «ritrovamento» di un chimico tedesco che, come Levi, aveva lavorato nel laboratorio della Buna, può suonare familiare: Levi l’ha raccontata in «Vanadio», penultimo capitolo del Sistema periodico. La corrispondenza tra Primo Levi e Ferdinand Meyer si può leggere in due modi: si può indagare sul rapporto tra i fatti reali – cosí come li ricaviamo dalle lettere – e quelli poi raccontati in «Vanadio». In alternativa, si può dare conto del carteggio lasciando da parte «Vanadio», e seguendo i fatti come accaddero nel 1967, ovvero “come se” «Vanadio» non esistesse. Il 2 marzo 1967 Meyer scrive a Levi. In un certo senso, quella di Meyer si può considerare la prima vera lettera che Levi riceve da un tedesco «coinvolto», e che oltretutto aveva incontrato ad Auschwitz «dall’altra parte»; si tratta della risposta che aspettava fin da quando Heinz Riedt gli aveva scritto annunciando di aver incominciato a tradurre in lingua tedesca Se questo è un uomo.
Nota
Il testo è un adattamento aggiornato di alcuni brani contenuti in Martina Mengoni, Primo Levi e i tedeschi - Primo Levi and the Germans, versione inglese di Gail McDowell, Einaudi 2017, a cui si rimanda.

Tutte le lettere


Lettere di Primo Levi


002. Primo Levi a Hermann Langbein, 17 dicembre 1960

004. Primo Levi a Hermann Langbein, 11 febbraio 1961

005. Primo Levi a Hermann Langbein, 19 aprile 1961

008. Primo Levi a Hermann Langbein, 1 ottobre 1961

011. Primo Levi a Hermann Langbein, 7 dicembre 1961

014. Primo Levi a Hermann Langbein, 13 gennaio 1962

016. Primo Levi a Hermann Langbein, 25 agosto 1962

017. Primo Levi a Hermann Langbein, 2 novembre 1963

018. Primo Levi a Hermann Langbein, 15 luglio 1964

019. Primo Levi a Hermann Langbein, 18 febbraio 1965

022. Primo Levi a Hermann Langbein, 14 dicembre 1969

024. Primo Levi a Hermann Langbein, 15 gennaio 1970

025. Primo Levi a Hermann Langbein, 15 luglio 1970

027. Primo Levi a Hermann Langbein, 11 aprile 1972

029. Primo Levi a Hermann Langbein, 30 aprile 1972

032. Primo Levi a Hermann Langbein, 24 agosto 1972

034. Primo Levi a Hermann Langbein, 7 settembre 1972

036. Primo Levi a Hermann Langbein, 19 novembre 1972

039. Primo Levi a Hermann Langbein, 14 gennaio 1974

041. Primo Levi a Hermann Langbein, 10 febbraio 1974

042. Primo Levi a Hermann Langbein, 15 febbraio 1974

044. Primo Levi a Hermann Langbein, 29 aprile 1974

048. Primo Levi a Hermann Langbein, 28 settembre 1974

051. Primo Levi a Hermann Langbein, 10 aprile 1976

052. Primo Levi a Hermann Langbein, 3 marzo 1979

054. Primo Levi a Hermann Langbein, 6 gennaio 1982

056. Primo Levi a Hermann Langbein, 26 ottobre [1983]

057. Primo Levi a Hermann Langbein, 31 ottobre 1983

058. Primo Levi a Hermann Langbein, 3 novembre 1983

060. Primo Levi a Hermann Langbein, 24 novembre 1983

063. Primo Levi a Hermann Langbein, 28 marzo 1986

Lettere a Primo Levi


001. Hermann Langbein a Primo Levi, 13 dicembre 1960

003. Hermann Langbein a Primo Levi, 6 febbraio 1961

006. Hermann Langbein a Primo Levi, 28 agosto 1961

007. Hermann Langbein a Primo Levi, 28 settembre 1961

009. Hermann Langbein a Primo Levi, 24 ottobre 1961

010. Hermann Langbein a Primo Levi, 5 dicembre 1961

012. Hermann Langbein a Primo Levi, 13 dicembre 1961

013. Hermann Langbein a Primo Levi, 8 gennaio 1962

015. Hermann Langbein a Primo Levi, 8 febbraio 1962

020. Hermann Langbein a Primo Levi, 5 marzo 1965

021. Hermann Langbein a Primo Levi, 9 dicembre 1969

023. Hermann Langbein a Primo Levi, 3 gennaio 1970

026. Hermann Langbein a Primo Levi, 23 luglio 1970

028. Hermann Langbein a Primo Levi, 22 aprile 1972

030. Hermann Langbein a Primo Levi, 10 maggio 1972

031. Hermann Langbein a Primo Levi, 11 agosto 1972

033. Hermann Langbein a Primo Levi, 1 settembre 1972

035. Hermann Langbein a Primo Levi, 8 novembre 1972

037. Hermann Langbein a Primo Levi, 1 dicembre 1972

038. Hermann Langbein a Primo Levi, 28 dicembre 1972

040. Hermann Langbein a Primo Levi, 6 febbraio 1974

043. Hermann Langbein a Primo Levi, 21 febbraio 1974

045. Hermann Langbein a Primo Levi, 24 maggio 1974

046. Hermann Langbein a Primo Levi, 26 luglio 1974

047. Hermann Langbein a Primo Levi, 17 settembre 1974

049. Hermann Langbein a Primo Levi, 4 ottobre 1974

050. Hermann Langbein a Primo Levi, 18 marzo 1976

053. Hermann Langbein a Primo Levi, 30 dicembre 1981

055. Hermann Langbein a Primo Levi, 20 ottobre 1983

059. Hermann Langbein a Primo Levi, 11 novembre 1983

061. Hermann Langbein a Primo Levi, 9 febbraio 1985

062. Hermann Langbein a Primo Levi, 22 marzo 1986

064. Hermann Langbein a Primo Levi, 10 maggio 1986

Torna in alto